Smistamento di Robin Entwhistle

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    Il tragitto in treno proseguiva lento ed inesorabile e Robin iniziava ad annoiarsi. Amava di più i viaggi in aeroplano: le cose sembravano molto più interessanti a vedersi dall'oblò, misteriose e desiderose di farsi guardare, pur non potendo essere colte nella loro interezza. E oltretutto, dall'alto il piccolo Robin Entwhistle sentiva di poter dominare quanto c'era sotto, mentre nel vagone era ad un passo dalla terra, luogo simbolo della mediocrità, che rifuggiva come la peste.
    Il ragazzino usciva da un periodo non propriamente roseo: portato di peso in Galles, a vivere con quella sdolcinata di sua madre, era stato abbandonato anche dalle ultime persone da cui si sarebbe aspettato una cosa del genere. Ma ormai non importava più: chiuso nel suo guscio di atarassia, sondava con sguardo assente il vetro del suo scompartimento, in cerca delle imperfezioni che poteva trovarvi piuttosto che guardarvi oltre. Robin era così: per quanto si sforzasse, non riusciva che a concentrarsi sul negativo. E tutto ciò che gli interessava, dato che con le persone non riusciva a rapportarsi, se non con un minimo di diffidenza ed insofferenza, era riempire il suo ego di ogni vittoria, grande o piccola, che conquistava sul proprio cammino. Anche il trovare un graffio, una ditata, una macchia sul lucido vetro sarebbe stata una rivalsa, il suo occhio attento che riusciva a prevalere. Non si sentiva come gli altri ragazzini di undici anni e per tutta l'infanzia gli era stato spiegato di essere diverso, più grande, attento e preciso.
    Non conosceva altra divinità che sé stesso.

    Poco dopo l'inizio della sua attenta analisi, nello scompartimento entrarono due colleghi del primo anno, entrambi gonfi di dolciumi. Sbuffò, Robin, rintanandosi sempre più vicino al freddo finestrino del vagone, mentre quelli, ebbri di zucchero, non sembrarono nemmeno accorgersi sua presenza. Ridacchiando come due idioti, i ragazzini si accoccolarono sui sedili e crollarono, finalmente. Puntò su di loro il proprio sguardo glaciale. Che gonzi. Dopo qualche attimo si avvicinò al primo, ma non era interessato ai suoi dolci: voleva organizzare una breve distrazione nell'attesa dell'arrivo al capolinea. Sua sorella Jane sosteneva avesse la mano più leggera di tutte, così Robin la utilizzò per ispezionare con attenzione le borse di entrambi: in quella di uno trovò delle Gomme Bolle Bollenti ancora chiuse, mentre in quella dell'altro dieci Galeoni sonanti. Si intascò senza troppe remore il denaro, poi recuperò dallo zaino del primo il pacchetto di gomme sigillato e lo ripose in quello dell'amico. Terminata l'opera, Robin tornò al posto e finse di coricarsi a propria volta. Non ci volle molto prima che il bambino al quale aveva rubato i Galeoni si alzasse; Robin lo osservò uscire dallo scompartimento senza fare rumore, probabilmente per non disturbarli.
    Ora si va in scena, pensò, dando due colpetti sulla spalla a colui che invece era rimasto dentro. Avrebbe atteso che si svegliasse, prima di stamparsi sulle labbra un sorrisetto innocente.
    « Ehi, scusa se ti disturbo... come va? Senti... ho visto che il tuo amico ti ha preso dallo zaino le gomme da masticare... fossi in te gliele suonerei, quando torna. Dovrei andare in bagno, mi controlleresti la borsa? Non vorrei che gli venisse qualche altra strana idea. Grazie, a più tardi! »

    Compiaciuto per quanto aveva prodotto, Robin fece scorrere la porta dello scompartimento e si allontanò nel corridoio. Il tipo sembrava stupido, sicuramente non abbastanza furbo da pensare che un ladro avrebbe mai potuto denunciare il suo stesso furto. Mentre richiudeva la porta della toilette, Entwhistle vide entrare il primo ragazzino nello scompartimento e subito avvicinò l'orecchio al legno per origliare.

    « Ridammi le Bollenti, grassone! »
    « Eh?! Va bene! Va bene! Ma tu dammi i miei Galeoni!»
    « I g... che? »
    « I MALEDETTI GALEONI!»
    « Ma non so di che parli... »

    Ah davvero? Che peccato.
    I Galeoni tintinnavano nelle sue tasche, mentre ascoltava il diverbio inasprirsi. Il suo ghigno si allargava sempre di più, deformandogli il viso sottile; era consapevole di aver rovinato un'amicizia nascente per il puro gusto di sentirsi il creatore dei disordini, colui che aveva in pugno la situazione. Gli piaceva portare discordia tra i malcapitati sacchi di patate di turno: lo faceva sentire meno a disagio in mezzo alle altre persone. Lo faceva sentire il padrone di un equilibrio che era solo suo. E poi, era solo un bambino: seminare un po' di zizzania non gli sembrava poi tanto grave.

    *****



    La Sala Grande era magnifica. Jane non era brava con le descrizioni, ma aveva reso perfettamente l'idea del soffitto, che rispecchiava la volta celeste all'esterno del Castello, e Robin si era riuscito anche ad immaginare le candele fluttuanti ed i tavoli apparecchiati con stoviglie dorate, sulle quali avrebbe volentieri messo le mani, potendo. Quando era arrivata la lettera, sua madre aveva pianto di gioia, ma Robin... Robin si era detto fosse davvero una seccatura, che Durmstrang non l'avesse richiamato tra le sue fila. Era stato un errore tornare in Inghilterra, abbandonare il signor Entwhistle in Germania. Suo padre era stato allievo di Durmstrang. E Robin desiderava diventare come lui. Quindi aveva fatto i capricci, urlato, strepitato, provato a manipolare sua madre con il senso di colpa... ma non era servito a nulla. Sua sorella maggiore, Jane, gli aveva dato una pacca sulla spalla ed aveva cominciato a raccontare. Lei avrebbe cominciato il sesto anno di scuola a breve. Gli aveva anche detto che, se tutto fosse andato come doveva andare, probabilmente sarebbero stati compagni e lui non avrebbe dovuto temere la mediocrità. Aveva usato proprio quelle parole e Robin si era sentito stranamente confortato. Se le era portate dietro per mesi, fino all'arrivo in Sala Grande.

    « Entwhistle, Robin James! »
    Avrebbe voluto che lo vedessero, sua madre e suo padre, camminare impettito verso quello sgabello. Il Cappello Parlante, consunto ed infeltrito, aveva in sé tutto il suo destino. Era abbastanza per fargli provare un certo timore reverenziale, nei confronti di quell'oggetto. Robin sapeva quale fosse la sua strada: era la stessa di Jane, seduta tra quella miriade di teste, ed era a fianco di suo padre, in Germania per conto di... ah. Robin era solo un bambino. Non aveva idea di cosa stesse desiderando, ma sapeva di essere furbo, di poter puntare in alto, di essere disposto a ripetere ciò che aveva fatto in treno, se ciò gli avesse garantito un futuro luminoso. Sarebbe riuscito a compiacere i signori Entwhistle. Sarebbe stato un mago potente e capace, il più capace di tutti. Il suo desiderio era quello di finire in una Casa dove avrebbe potuto concentrarsi solo e soltanto sul raggiungimento dei propri traguardi personali, una Casa che gli avrebbe permesso di partire avvantaggiato rispetto agli altri undicenni. Perché lui non era come gli altri. Era il riferimento di sé stesso.

    L'ultima parola, però, andava al consunto copricapo...
     
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