Poison Ivy

Harper&Wilson

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    Ci avevo messo qualche giorno a rendermi conto che quello sarebbe stato il mio ultimo stage, la mia ultima estate da studente. Dovevo dire, però, che mi sarebbe dispiaciuto concludere quello stage. Ero stato inserito, finalmente, esattamente dove avrei voluto un giorno lavorare: l'uomo al quale ero affiancato era un intraprendete e temibile magiavvocato, specializzato nel commercio magico internazionale e che era rientrato da pochi mesi al Ministero, dopo aver lavorato per anni al Macusa. Vederlo lavorare, assistere alle sue arringhe, seguirlo nella programmazione dei processi mi aveva fatto venire ancora più voglia di studiare per raggiungere il mio obiettivo. Questo era il primo vero stage che era davvero inerente la mia futura carriera; gli anni precedenti ero entrato al ministero, sì, ma ero stato relegato negli archivi dei casi andati in prescrizione, poi l'anno dopo ero stato schiaffato alla Gazzetta del Profeta, a parlare di Politica tra un branco di giornalisti che non vedevano l'ora di farmi passare dalla loro parte. Insomma, era la prima volta che potevo davvero metter mano e vivere di persona il mio futuro lavoro ed era una cosa che mi aveva dato molta carica ed energia. Ero soddisfatto, nonostante gli orari che -spesso-erano scaglionati e confusionari, poichè seguivano gli orari dei processi e degli uffici di riferimento.
    Quel giorno, per esempio, avevo una pausa pranzo di un paio d'ore perchè il giudice aveva sospeso il giudizio al pomeriggio quando erano ancora le 11:30 e il magiavvocato Fraser mi aveva mandato in pausa ancora a mezzogiorno, per poi rivederci alle due in aula. Avevo, quindi, avuto il tempo di inviare un origami a Lisbeth, che sapevo essere in turno al San Mungo quella mattina. Aveva conseguito i G.U.F.O. brillantemente, rimanendo impegnata praticamente fino a metà giugno e quindi non ci eravamo visti, mentre io -poco dopo- avevo cominciato lo stage. Quell'estate, erano state ancora poche le volte che ci eravamo visti per davvero, ma le avevo proposto di venire in Scozia qualche giorno. Edimburgo non era male da visitare e comunque la tenuta degli Harper aveva qualche spunto da offrire per trascorrere un paio di giorni tranquilli; in primis la frescura scozzese, che a Londra si poteva solo sognare. In più, avrei potuto mostrarle quella strana serra di piante di dubbia natura a cui mia madre stava più dietro che a me. Ero sicuro le sarebbe interessata. Dal Ministero, quindi, mi ero spostato a Diagon Alley, raggiungendo con calma l'ingresso posteriore del San Mungo, che si affacciava sulla Londra magica e mi appoggiai al corrimano delle scale, sbottonandomi le maniche e arrotolandole lungo le braccia, allentandomi anche i bottoni del colletto. Per andare in pausa, avevo smesso la giacca e la cravatta del completo. Dentro al Ministero andava bene, ma fuori, nel caldo estivo sarei morto.

    #82823F Parlato C0C27C Pensato
     
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    La cosa bella dell'essere mezzosangue erano gli abiti, poteva vestirsi come voleva e alla moda senza dover dare conto agli abiti magici che ricordavano i tempi antichi e gli abiti dismessi delle nonne. Inforcò gli occhiali da sole dopo aver sfilato il camice bianco della Farmacia del San Mungo - dove aveva visto Harry spesso - avviandosi all'uscita dal lato magico di Londra. Aveva appuntamento con Thomas, che non aveva visto molto quell'estate a causa dei G.U.F.O. e degli stage. Aveva ricevuto il suo invito in Scozia e la cosa - anche se non voleva ammetterlo - l'aveva messa sia in agitazione sia in eccitazione, l'idea che Harper le avesse aperto la porta di casa, dopo il discorso di mesi prima, le aveva fatto capire che il Serpeverde volesse davvero trovare un punto d'incontro. Sospirò attraversando il corridoio, diede un cenno di saluto al suo capo che avrebbe rivisto due ore dopo e lasciò la Farmacia ai suoi colleghi universitari; non avrebbero potuto rimanere scoperti in alcun modo vista l'affluenza di pazienti all'interno dell'ospedale. Si era detta più volte che avrebbe potuto avvelenare qualcuno di loro, il problema consisteva nella loro schedatura...erano pochi in farmacia ed erano supercontrollati, in più, a chi avrebbero dato la colpa se non ai nuovi arrivati che commettevano errori? Non avrebbe potuto permetterselo, sapeva che il tempo per agire sarebbe stato lontano ma non troppo. Stare al San Mungo le aveva portato alla mente gli ultimi giorni del padre, giorni in cui aveva parlato con lui e gli aveva detto quanto lo amasse, gli aveva chiesto come avrebbe vissuto senza lui e la risposta era arrivata immediata "sarò sempre con te". Il loro discorso, l'amore che c'era, l'aiuto che aveva provato a dare al padre, li avrebbe portati sempre con sé, custoditi lontano da menti indiscrete e segregati nella parte più profonda di sé assieme all'odio viscerale per i medici che non erano riusciti a salvarlo.
    Tra un anno ed un mese esatto potrò farvi scontare la pena.
    Aprì la porta a vetri dell'ospedale, lasciando che lo sguardo dietro le lenti scure cadesse sul ragazzo che la stava aspettando appoggiato al corrimano delle scale. Rimase ad osservarlo per qualche secondo: quando lui era presente, il contorno svaniva, si dissolveva come se non ci fosse nient'altro. Scese le scale con calma, avvicinandosi poi a lui per guardarlo nelle iridi azzurre, alterate un po' dalle lenti verde scuro.
    - Harper.-
    Un saluto, niente di più, un saluto il cui significato era un "mi eri mancato", ma da Lisbeth non ci si poteva aspettare una frase tanto mielosa né un atteggiamento altrettanto dolce. Rimase a poca distanza da lui, senza toccarlo, sentendo il cuore martellarle nel petto. Era da un mese che non si guardavano negli occhi.



    ~ PARLATO: #03412B
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    Già mi vedevo frequentare quei luoghi, una volta uscito da Hogwarts, percorrere le strade con i miei fascicoli, da una parte dall'altra della città per recarmi prima in Questura, poi tornare al Ministero, scendere nelle aule d'udienza, uscire di nuovo, raggiungere lo studio degli altri avvocati, aggiornarmi, studiare, ricercare... Mi ci vedevo fin troppo a seguire quella vita frenetica e forse era anche per quello che non mi era per nulla difficile o pesante seguire gli orari di Fraser in quelle settimane che gli ero affiancato. Non vedevo l'ora di potermi gestire in autonomia il lavoro, quello era certo, ma intanto andava bene così. Quel giorno non era stato neanche particolarmente pieno, con un giudice che probabilmente si era dimenticato di fare colazione e gli era venuto il languore già alle 11 di mattina, ma almeno questo mi aveva dato il tempo di dedicarmi anche ad altri aspetti della mia estate, come -ad esempio- la signorina Lisbeth Wilson. Era sempre strano doverci organizzare per vederci, quando fino a poche settimane fa bastava cercarsi per il castello o aspettarsi in sala comune. Era indubbiamente un campo di prova per l'anno dopo, quando io non ci sarei più stato a Hogwarts ed avremmo dovuto accontentarci di qualche giorno al fine settimana, ad Hogsmeade. Non eravamo certo di quelle coppie che morivano se non si vedevano almeno tra volte al giorno, ma nel corso dell'anno avevamo sempre modo di vederci anche solo per un saluto veloce. Mi sarebbero mancati quei momenti, quei baci dati quasi distrattamente con la promessa di vedersi più tardi o gli sguardi scambiati in complicità al cambio lezione. Ma saremmo stati bravi ad adattarci; intanto, avevamo ancora un anno davanti a noi. Meglio non fasciarsi la testa prima di romperla.
    Giunto davanti al San Mungo, non dovetti attendere molto prima di vederla uscire con un paio di occhiali da sole a nasconderle gli occhi. Assottigliai lo sguardo, proteggendo gli occhi proprio dal sole che -a quell'ora- picchiava giusto contro le vetrate e lo rifletteva contro di me e la guardai raggiungermi, mentre con passo morbido scendeva le scale. Sorrisi sbilenco al suo saluto, rimanendo il silenzio per un secondo, prima di portare le dita ad afferrare le asticelle degli occhiali per sollevarli appena sopra la fronte. Ecco, molto meglio. Quegli occhi profondi come foreste mi erano mancati e non potevo privarmene ulteriormente lasciandoli nascosti dietro le lenti scure: -Wilson- le risposi con lo stesso tono mellifluo, inclinando la testa di lato, infilandomi le mani in tasca, come per trattenermi dall'avvicinarmela addosso: -Ho un pensiero per te- le dissi diretto, tastando con le dita della mano destra il piccolo, consunto libricciolo che avevo infilato in tasca. L'avevo trovato nei meandri della biblioteca di casa ed era un vecchio prontuario farmaceutico francese risalente ancora al 1800 con dentro gli appunti di un qualche guaritore. Non avevo la benché minima idea di cosa ci facesse nella nostra biblioteca, ma avevo pensato che alla Serpeverde potesse interessare, soprattutto quelle annotazioni che suggerivano utilizzi off-label di diverse preparazioni e farmaci. Potevano risultare obsolete ai nostri tempi; oppure no. Il mio sorriso si ampliò nel guardare il suo viso: -Vuoi che te lo dia adesso o seduti da qualche parte? Hai voglia di un gelato?- le chiesi, ora allungando una mano, senza più riuscire a resistere al suo viso, stringendolo tra le dita e sollevandolo a me per darle un bacio: -Come stai?- le chiesi a fior di labbra. Ero felice di averla di nuovo tutta per me, finalmente.

    #82823F Parlato C0C27C Pensato
     
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    Osservò a lungo la figura che la stava attendendo al di fuori del San Mungo e si sorprese di quanto la lontananza da lui cambiasse completamente la percezione di ciò che sentiva. Lisbeth sapeva di amare Thomas, eppure quell'anno si era sentita molto lontana da lui, nonostante il sesso, nonostante gli incontri in Sala Comune, nonostante l'impegno del Serpeverde nell'aprirsi di più; la morte di suo padre aveva sì acuito il veleno, la vendetta...ma aveva lasciato anche un vuoto incolmabile che, in qualche modo, l'aveva cambiata ancora di più. Sentire qualcosa era diventato davvero difficile: aveva imparato a convivere con la solitudine a tenere stretto qualcuno che amava fin dall'età di 9 anni, ma alle volte cadeva in tunnel dove si sentiva apatica, dove metteva in discussione il bene che provava per quella persona, dove si sentiva quasi dissociata dalla realtà che la circondava. Con Tom lontano era andata così, nonostante non avesse bisogno di essergli vicina costantemente, sentirlo lontano - presi entrambi da altro - le aveva fatto mettere in discussione i suoi sentimenti per lui... sentimenti che, una volta ripreso il contatto con la realtà, erano riaffiorati forti e sinceri. Si era spesso interrogata sul motivo di quelle sensazioni ma non aveva mai saputo darsi una risposta definita, si era detta che forse avesse davvero paura di sentirsi legata intimamente a qualcuno al punto da creare dei momenti di "distacco" per sentirsi sollevata nel caso in cui avesse dovuto dire addio. Si lasciò alzare la montatura degli occhiali che provvide ad infilare tra i capelli castani, scontrandosi con gli occhi azzurri del ragazzo che le mozzarono il respiro all'altezza del petto. Deglutì quando lo vide inclinare il capo, dopo un anno e mezzo di relazione era ancora affascinata e presa da lui, più del loro primo giorno insieme e sapeva che lo sarebbe rimasta sempre. Se Lisbeth avesse potuto indicare una delle sue debolezze, Thomas era quella perfetta: il modo in cui parlava; in cui guardava gli altri; camminava; sorrideva; si spogliava; infilava le mani in tasca e tra i capelli... era così presa da lui da non accorgersi che anche le cose normali, i gesti quotidiani, per lei erano la cosa più bella del mondo se fatta da lui. L'espressione serena di Lisbeth si incrinò per un secondo, mentre realizzava quanto la distanza da lui le pesasse più del dovuto e quanto, rifugiarsi dal dolore mettendo un muro tra lei ed i suoi sentimenti, era l'unica cosa che riusciva a fare per soffrire "meno" - mentre probabilmente aggiungeva dolore al dolore-.
    - Un pensiero per me? -
    Si lasciò sfuggire con tono sorpreso e con altrettanta espressione a seguire. Raramente si lasciava cogliere impreparata, specialmente davanti a Thomas con la quale era sempre beffarda, provocatrice...eppure, c'erano occasioni in cui necessitava di lasciarsi alla spontaneità ed Harper riusciva a tirargliene fuori sempre un bel po'. Gli sorrise di rimando, guardandolo con affetto profondo.
    - Qualsiasi cosa sia, voglio vederla dopo con calma ma mi piacerebbe andare a prendere un gelato, sì.-
    Accolse le labbra di Thomas sulle sue, assaporandole, socchiudendo gli occhi e godendosi quella leggerezza che le stava scaldando il cuore. Alzò lo sguardo a lui, posando la fronte sulla sua, andandogli a sfiorare la punta del naso.
    - Adesso, meglio.-
    Gli sorrise, lasciando scivolare le dita tra quelle di Thomas, intrecciandole, mentre muoveva il viso lentamente vicino al suo, accarezzandolo, con una dolcezza quasi disarmante ed inaspettata da Lisbeth.
    - Tu come stai?-
    Gli posò la mano destra sul colletto della camicia, staccando il viso dal suo per guardarlo intensamente. Non era una domanda di circostanza, voleva sapere davvero come stesse, cosa avesse fatto e aveva intenzione di contraccambiare la risposta a quella domanda una volta preso posto ad un tavolo. Gli avrebbe raccontato di come si sentiva a casa, di quanto in realtà le mancasse stare con lui e, allo stesso tempo, voleva godersi quei momenti, quell'ultimo anno insieme, con la speranza che Harper si aprisse a lei con più serenità.


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    Se da un punto di vista non vedevo l'ora di iniziare finalmente un percorso di studi e di apprendistato che mi avrebbe introdotto a quel lavoro, che mi aveva affascinato fin da bambino, dall'altro ero consapevole che per raggiungere quel nuovo stadio della mia vita avrei dovuto lasciare Hogwarts e tutto quello che aveva significato per me quel posto. Era stata la mia vera casa, dove avevo conosciuto persone che mi avevano fatto sentire meno in difetto ed in errore di quanto mi facesse sentire la mia famiglia. Lì avevo conosciuto Lisbeth, l'unica ad aver davvero superato le barriere, senza per forza volerle abbattere; lì avevo conosciuto Lorcan, Aidan, Louis, Ava e diversi altri Serpeverde che mi avevano insegnato molto a loro volta e che mi avevano tenuto compagnia in quegli anni. Non che avessi mai dimostrato alcun tipo di riconoscimento e non avrei mai ammesso nulla di tutto ciò, ma non ero particolarmente contento di uscire da Hogwarts. Avrei dovuto godermi quell'anno, avrei dovuto dare il massimo e prendermi tutto quello che potevo e mi sarei goduto la presenza di tutte quelle persone che, nel corso dei miei anni lì, avevano avuto un ruolo importante. In primis Lisbeth, che sarebbe sempre stata una figura fondamenta da lì in avanti; perchè era stata la prima, perchè mi aveva mostrato qualcosa di nuovo, dandomi sempre nuovi inizi, perchè mi avrebbe sempre ricordato di un periodo relativamente felice della mia vita.
    Speravo sarebbe andato meglio di quell'ultimo anno, dove avevamo dovuto strapparci momenti per noi -dei veri momenti- con le unghie e con i denti e anche l'estate non sembrava essere tanto clemente, fino ad ora. Sapevo che entrambi fossimo molto impegnati e coinvolti dai nostri stage, lei sembrava sinceramente soddisfatta ed anche io mi stavo godendo quel percorso formativo, ma speravo che , una volta passata quella fase, avremmo avuto più tempo per noi. Avrei dovuto anche portarla a casa mia una volta, tentando di evitare come la peste mia sorella che, quell'anno sarebbe entrata ad Hogwarts. Al solo pensiero, mi si rivoltò lo stomaco. Scossi mentalmente la testa, concentrandomi su Lisbeth. Dio, mi era mancata, lei e quei suoi modi di fare, sempre sensuali e carismatici. Non potei fare a meno di cercare i suoi occhi. Sorrisi, facendo staccare un sopracciglio verso l'alto con espressione furba, quando riuscii a risvegliare un guizzo di curiosità nella mora quando le dissi di avere qualcosa per lei. La scrutai, facendo scivolare lo sguardo fino alle sue labbra a lasciandomi incantare, baciandola, prima di sorriderle, rispondendo alla sua espressione: -Con calma, d'accordo- annuii appena, sfiorandole le labbra con le mie, chiedendole come stesse. Non era una risposta facile a cui rispondere; non lo era mai stata per noi che ci aspettavamo dall'altro una risposa sincera. Annuii, però, quando mi assicurò che ora stese meglio. Sincera, per l'appunto. Mi morsi appena il labbro inferiore, prima di sentire le sua dita scivolare tra le mie e stringermi la mano. Le posai un bacio sulla fronte, dopo che lei si scostò appena con il viso dal mio e, con la mano libera, le riabbassai gli occhiali sugli occhi. Lei, di rimando, mi posava una mano sul colletto della camicia. La guardai, rispondendo al suo sguardo intenso: -Bene- le risposi sincero: -Sto passando le mie giornate quasi interamente a Londra in questo periodo- le spiegai, arricciando il naso: -Evito di vedere Mathilda, che tanto me la ritroverò tra i piedi a settembre in qualsiasi caso- sbuffai dal naso, raddrizzando la schiena ed avviandomi lentamente, con la mano di Lis stretta nella mia, verso la gelateria, in centro a Diagon Alley: -A meno che non crepi prima- commentai acido, ma senza tanto scherzare.

    #82823F Parlato C0C27C Pensato
     
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    Si incamminarono verso Diagon Alley, mano nella mano, mentre Lisbeth ripensava alla domanda che le aveva posto Thomas: come stai? Due semplici parole alle quali la risposta risultava sempre complicata. Era vero, stava meglio con lui presente ma si chiese se non fosse giusto dirgli tutta la verità. Alzò lo sguardo a lui, osservando le lunghe ciglia scure, le lentiggini chiare, il lieve colore ambrato della pelle e il naso all'insù che lasciava poi spazio alle labbra carnose. Si morse il labbro lasciando cadere il discorso sul Ministero, spostò lo sguardo in avanti al nome "Mathilda".
    - Hai mai pensato che siano i tuoi genitori il problema e non lei? -
    Chiese, osservandolo seria. Si domandò se mai Harper avesse riflettuto sul fatto che sua sorella avrebbe potuto essere sua alleata, un giorno e che il problema alla base erano i genitori. Se ad un figlio manca l'amore e si sente messo da parte...la colpa può essere davvero del proprio fratello? Sospirò, pensando all'anno che sarebbe arrivato, all'ultimo anno di Thomas e al fatto che avrebbe conosciuto la sorella di lui e che non avrebbe potuto comportarsi male con lei, altrimenti in che posizione si sarebbe messa nei confronti dei coniugi Harper? Voltò il viso a lui, scrutandolo con attenzione.
    - Lo sai che, a differenza tua, io non posso comportarmi troppo male con lei, vero? E che il prossimo anno toccherà a me averla attorno? -
    Non era per niente entusiasta del fatto che - seppur non la conoscesse - Mathilda avrebbe potuto in qualche modo prenderla come punto di riferimento.
    - Comunque ho una confessione da farti.-
    Con Thomas Harper era sempre così, le partivano i sentimentalismi. Strinse di più le dita della mano e lo costrinse con uno scatto del braccio a voltarsi verso di lei che si era piantata al centro della strada.
    - Quando siamo distanti...è come se perdessi il contatto con la realtà. Sarà che non abbiamo bisogno di stare sempre appiccicati, però... quando siamo troppo distanti, al punto in cui non ci scriviamo nemmeno, beh, cambio. Alzo un muro ancora come se avessi paura che da un momento all'altro tu possa rompermi.-
    Odiava doversi mettere a nudo in quel modo ma non trovava funzionale non dirgli le cose come stavano: Lisbeth alzava il doppio del muro di Berlino quando aveva paura e con Thomas andava così; quando si sentiva troppo lontana da lui, aumentava il distacco sentimentale in modo che - se mai lui avesse deciso di mollarla - lei ne sarebbe rimasta "indifferente", come uno scudo protettivo davanti ad un incantesimo.
    - E sarebbe stupido non dirti che sono preoccupata per il prossimo anno e che vorrei godermi questo nella totale serenità.-
    Si morse il labbro, guardando negl'occhi azzurri il ragazzo.
    - Quando sei attorno a me le cose sono diverse, sono distese.-
    Il lutto paterno nell'età dell'adolescenza, non una grande cosa, soprattutto per una personalità come quella di Lisbeth: pretenziosa, schiva, velenosa. Questi non erano affatto discorsi da Lisbeth Wilson, eppure con Thomas salivano sempre a galla quei sentimenti, quelle parti romantiche della Serpeverde che - non prendiamoci in giro - difficilmente riuscivano ad essere tirate fuori.

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    E pensare che, fino a poco tempo prima, lamentarmi e parlare di Mathilda con altre persone mi era impensabile. Non mi ero mai esposto per quanto riguarda la mia famiglia. Quelli più vicini a me sapevano che non avevo un chissà quale bel rapporto con la mia famiglia, ma non ne conoscevano i particolari. L'unica che sapeva di più di tutta quella faccenda era proprio Lisbeth, con la quale mi ero aperto ed avevo raccontato un po' com'era andata. Per questo, dopo aver accennato alla bambina ed aver sentito le sue parole, voltai la testa lentamente verso di lei, rivolgendole uno sguardo gelido: -Il problema sono i miei genitori e lei- la corressi immediatamente, prima di tornare con lo sguardo davanti a me, man mano che ci addentravamo nella città. Sollevai, poi le spalle scrollandole appena: -Ci penserà lei a farsi trattare male- commentai, scuotendo la testa: -E' insopportabile, viziata e aprofittatrice- la descrissi: -Avrai tutti i motivi del mondo per "comportarti male con lei"- le rivolsi un sorriso tirato, fatto apposta per quella risposta: -Comunque capisco bene, prefetta- abbassai uno sguardo sulla sua figura, mordendomi piano il labbro e feci per aggiungere altro, congratulandomi con lei, quando mi disse quelle parole. Mi fermò, strattonandomi appena e facendomi voltare. La guardai stranito e confuso: -Confessione?- chiesi, infossando un sopracciglio e tornando sui miei passi più vicino a lei. L'ascoltai, tenendo lo sguardo posato nel suo, preoccupato. Avevamo avuto diverse discussioni, ovviamente; due persone con due caratteri duri come i nostri non avrebbero potuto fare diversamente, ma avevamo cominciato a vederci sempre meno con l'avvicinarsi dei GUFO di Lisbeth e con la chiusura dell'anno scolastico e forse quello l'aveva fatta impensierire. Alla sue prime parole, abbassai lo sguardo, prima di distoglierlo a guardare attorno a noi. Le posai una mano sulla schiena per allontanarci da in mezzo la strada e metterci all'ombra di un bell'albero rigoglioso. Tornai, quindi ,a guardarla, lasciando che concludesse il suo discorso. Presi un profondo respiro quando toccò a me risponderle. Deglutii: -Questo periodo è stato un po' strano, ma ci siamo un po' allontanati per motivi esterni alla nostra relazione, no?- chiesi guardandola negli occhi: -Anche io quando sono con te son più... tranquillo ed è stato strano anche per me averti distante, ma ora che è passato questo periodo torneremo come al solito- cercai di rassicurarla, prima di avvicinarmi a lei e posandole le mani ai lati del viso: -Voglio vivermi al meglio questo ultimo anno e voglio viverlo assieme a te e il prossimo anno in qualche modo faremo, mh?- la rassicurai, incrociando il suo sguardo. Rimanemmo in silenzio per qualche secondo, osservandoci negli occhi. Era stato un anno difficile per Lisbeth ed io non ero riuscito a starle vicino davvero come avrei voluto, ma con l'avvicendarsi di tutto quello che era successo non era stato il migliore dei periodi per nessuno.

    #82823F Parlato C0C27C Pensato
     
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    Incassò lo sguardo gelido di Thomas senza replicare, non avrebbe mai messo bocca sui sentimenti del suo ragazzo, sapeva quanto gli costasse quella situazione familiare, sapeva quanto gli costasse parlarne ed aprirsi a lei così come era consapevole del fatto che - per quanta colpa potesse averne una bambina - la principale responsabilità del non sentirsi amato, e di conseguenza il vero problema, fossero i suoi genitori. Gli aveva esposto il suo punto di vista con quella domanda ma non sarebbe mai andata oltre e non per paura ma perché conosceva bene il risentimento che alimentava Harper. Lisbeth era sempre stata molto chiara con Thomas, quando qualcosa non le andava a genio o non era d'accordo non solo lo faceva capire, lo dimostrava in toto e se avesse dovuto farlo ragionare, lo avrebbe fatto; se avesse dovuto mettersi contro di lui in determinate cose e fossero arrivati a litigare, non si sarebbe mai tirata indietro. C'era un però grande quanto una casa: non ci sarebbe mai stato giorno in cui non sarebbe stata comunque lì a tenergli la mano, a guardargli le spalle quando ciò che riguardava il Serpeverde lo avrebbe potuto mettere in situazioni di rischio e mai gli si sarebbe messa contro in pubblico. I panni sporchi li avrebbe sempre lavati in famiglia. Sul viso della Wilson si dipinse un'espressione accigliata.
    - Si dà il caso che, nonostante sia tutte queste cose, io non possa permettermi di trattarla come credi tu. Del resto della scuola me ne frego, posso essere chi voglio con loro ma tua sorella potrebbe riportare la cosa ai tuoi e io non ho la minima intenzione di essere vista dai tuoi attraverso le parole di un'altra persona. Se mi devono conoscere, mi devo far conoscere io, voglio decidere io cosa mostrare ai tuoi.-
    Il pensiero di dover conoscere gli Harper non la rendeva tranquilla ma sicuramente - per come era fatta - si sarebbe lasciata conoscere per i suoi modi educati, freddi e suadenti e non avrebbe tirato fuori le stilettate che dedicava spesso ai suoi coetanei. I genitori di Thomas erano figure non solo importanti nel mondo magico, ma anche coloro ai quali doveva piacere e se non fosse piaciuta, ovviamente, non si sarebbe fatta alcun problema; il diciassettenne non era così stupido da mollare lei per far contenti loro, specialmente non per come erano i rapporti tra loro ma se fosse piaciuta, avrebbero potuto avere un occhio in più per il figlio. D'altro canto stava per portare una novità in casa e - ne era certa - i genitori non l'avrebbero ignorata.
    Inclinò il capo di lato e gonfiò il petto in maniera orgogliosa quando accennò alla Prefettura.
    - Direi di essermela meritata.-
    E sudata. La Wilson attendeva quella carica dallo scorso anno. Sentì il tocco leggero di Thomas sulla schiena e si lasciò guidare all'ombra di una quercia gigantesca che frusciava sotto il venticello estivo, lasciando che lui prendesse la parola in risposta alla sua confessione. Si scambiarono uno sguardo lungo ed intenso, uno sguardo riempito da domande difficili e sentimenti forti.
    - Sì, certo che è per motivi esterni. -
    Prese un respiro profondo, continuando a tenere lo sguardo fisso su di lui, non lo avrebbe distolto per alcuna ragione.
    - Noi non abbiamo nessun problema, Tom, è semplicemente che io con le distanze mi raffreddo parecchio...sai come sono fatta, sai che non ho bisogno di nessuno attorno e che isolarmi mi è facile come respirare.-
    Portò una mano al colletto della camicia del Capitano e gli sfiorò il collo con le dita affusolate, accarezzandoglielo mentre il tocco caldo delle sue mani sul viso accelerò i battiti al petto.
    - Anche io voglio questo ed è per questo che sto facendo già questo discorso. Non possiamo permetterci di allontanarci così tanto per fattori esterni perché il prossimo anno tu lavorerai ed io sarò soffocata dai M.A.G.O. e se inizio a distaccarmi e sento lo stesso da parte tua, alzo inevitabilmente dei muri, specialmente dopo la perdita di mio padre.-
    Aveva messo il cuore esposto, forse non a 360° ma più di quanto una persona si potesse immaginare da Lisbeth, quella Lisbeth che non metteva in piazza se stessa quasi mai, quella stessa personcina che ti divorava vivo e che sputava veleno appena ne aveva l'occasione: ed era esattamente questo a fare di lei una persona complessa.
    - Non voglio perderti e proverò sicuramente ad essere più presente ma diciamoci le cose come stanno: non sono brava in questo. Mantenere i rapporti non è il mio forte, se vedo distacco mi raffreddo e finisce tutto a puttane.-
    A quasi sedici anni era perfettamente consapevole dei suoi limiti e delle sue capacità; distaccarsi era una capacità tanto quanto un limite ai rapporti di amicizia e di relazione. Risalì con la mano dietro la nuca di Thomas, accarezzandogli i capelli corti.


    ~ PARLATO: #03412B
    ~ PENSATO: #36574e

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    Dei miei genitori non me ne fregava più niente da tempo. Della mia famiglia tutta non me ne fregava più niente. Erano solo un punto di ritorno dopo aver vissuto la mia vita durante il giorno o durante l'anno, qualcosa che mi permetteva semplicemente di arrivare alla maggior età e diventare poi autosufficiente. La gente avrebbe potuto dirmi che mi stavano pagando gli studi, ma io vi dico che lo facevano solo per mantenere una certa immagine della famiglia che, dall'esterno era una cosa, ma dall'interno, da come la vedevo io era tutta un'altra cosa. Per questo, quando Lisbeth accennò ai miei genitori, quando parlai di Mathilda, la fulminai. Fu una reazione istintiva, che forse non volevo davvero avere nei suoi confronti, ma forse fu semplicemente il suo non capire. Cercai di chiarirmi, quando lei mi rispose. A lei importava l'opinione dei miei genitori, a me non ne poteva importava nulla, ma avrei potuto essere così menefreghista nei suoi confronti? Per lei, la famiglia era sempre stata importante, per lei i genitori erano persone a cui voler bene, con i quali confrontarsi, ai quali chiedere consigli, dai quali recarsi per condividere paura, gioie dolori. Immaginavo fosse normale per una persona che era cresciuta con quelle idee che ci tenesse a presentare e mantenere una certa immagine di se stessa. Io, però, non la capivo. Abbassai lo sguardo alle sue parole ed annuii: -D'accordo, certo- mormorai, passandomi la lingua sul labbro inferiore, prima di morderlo appena. Tornai a guardarla, poi, scuotendo la testa: -Perdonami, non ti capisco, ma se per te è importante...- mi strinsi nelle spalle, stringendo le labbra in un sorriso contrito, traslando il discorso sulla prefettura della ragazza. Mi sarei aspettato che la ricevesse già l'anno prima, ma evidentemente avevano preferito far concludere il percorso alla Jenkins e ad Aidan assieme. Quell'anno, Aidan era diventato il Caposcuola per i Serpeverde e quindi erano subentrati due nuovi prefetti. Due individui che, dovevo essere sincero, ero orgoglioso rappresentassero la nostra casata. Lorcan e Lisbeth avrebbero formato una bella squadra anche se non sembravano trascorrere il migliore dei periodi. Annuii alla mora: -Te la sei meritata indubbiamente; te la saresti meritata già l'anno scorso, ma meglio tardi che mai- commentai, sollevando le spalle.
    Il discorso, però, non durò molto. Ben presto passammo a parlare di quello che avevamo affrontato in quel periodo, alla lontananza che man maniera cresciuta e che ci aveva raffreddati, come aveva detto Lisbeth. Era stato strano, aveva fatto male, ma era stato indipendente da noi. Anche Lis me lo confermò, ma questo non cambiava il fatto che ci fossimo allontanati e che avremmo dovuto lottare per riavvicinarci e stare vicini di nuovo. La scuola avrebbe aiutato, indubbiamente, per i prossimi mese saremmo stati assieme, ma avevamo davanti un intero anno dopo il quale io me ne sarei uscito da Hogwarts e l'avrei lasciata là. Sarebbe stato impegnativo. La ascoltai, guardandola negli occhi, sentendo un pugno allo stomaco quando accennò a suo padre. Lisbeth Wilson non era una persona che si lasciava andare a sentimentalismi; era un po' come me. Era difficile per noi aprirci e parlare di quelle cose, perciò capii quanto difficile fosse per lei. Feci un passo avanti, posandole le mani al viso, sentendo la sua mano accarezzarmi i capelli: -Nemmeno io l'ho gestita bene; siamo in due, e in due abbiamo delle responsabilità in questa relazione- mormorai, prendendo un profondo respiro, prima di posare la fronte contro la sua: -Ti prometto che mi impegno per esserti più vicino- le dissi, posandole poi un breve bacio a fior di labbra. Mi era mancata, mi mancava ogni volta che eravamo distanti, ma forse quella volta, semplicemente, ero stato troppo impegnato per rendermene davvero conto.

    #82823F Parlato C0C27C Pensato
     
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    Rimase in silenzio ad osservare i movimenti di Thomas e qualcosa si smosse nel suo profondo quando gli vide abbassare il capo e lo sguardo, mentre si mordeva le labbra dicendole di sì e aggiungeva una domanda implicita. Posò le mani sul viso del ragazzo, costringendolo - in maniera dolce - ad alzare lo sguardo a lei, ai suoi occhi verdi.
    - Tom... se tratto male Mathilda i tuoi se la prenderanno con te e per quanto a te non interessi più niente di loro, per quanto tu possa odiarli, non voglio che loro possano riversare qualcosa addosso a te. Se non dovessi piacere per quello che sono, va bene, non mi interessa... ma se dovessero odiarmi perché tratto male la loro bambina so che se la prenderebbero con te. Non voglio peggiorare le cose.-
    Avrebbe voluto migliorarle le cose ma sapeva che non avrebbe potuto mettere piede negli affari di famiglia altrui, tra l'altro, nessuno poteva cambiare gli altri, figuriamoci se Lisbeth avesse avuto una presunzione tale.
    - Per me è importante perché sei tu ad essere importante per me, nient'altro.-
    Gli si avvicinò posandogli un bacio leggero sulle labbra, mentre teneva salda la presa sulla pelle liscia del ragazzo. Si staccò dalla sua bocca, guardandolo negli occhi azzurri con tenerezza.
    - Se dovessi essergli indifferente, bene, se dovessero odiarmi per quello che sono, bene ma non tratterò male tua sorella perché tu hai bisogno di questo. Io ti appoggio, starò sempre dalla tua parte ma non seguirò ogni cosa che fai tu, Tom. Farò quello che ritengo giusto, rispettando te.-
    Non avrebbe odiato qualcuno perché l'odiava lui, non avrebbe vissuto sull'onda delle parole di un'altra persona ed era certa che questo li avrebbe portati a crescere, avrebbero condiviso vari punti di vista.
    - Non mi metterò mai contro di te davanti ad altri, ne discuteremo insieme delle divergenze ma qualsiasi comportamento tu decida di assumere con gli altri, sarò sempre lì a coprirti le spalle, a reggerti la testa, a lasciarti sfogare. Non ci sarà giorno in cui non ti terrò la mano finché staremo insieme.-
    Thomas voleva uccidere qualcuno? Glielo avrebbe lasciato fare - se non fosse stata d'accordo glielo avrebbe comunicato - ma lo avrebbe comunque aiutato dopo a seppellire il cadavere. Gli accarezzò il viso con la mano, portando le dita affusolate nei capelli del ragazzo, accarezzandolo. Per lei era quello l'amore e non avrebbe saputo fare o dire diversamente.
    Sorrise all'accenno sulla Prefettura e lo lasciò scivolare via velocemente mentre l'argomento passava al loro essere lontani e al loro impegno sulla relazione. Si lasciò baciare a fior di labbra, staccandosi ad un respiro di distanza, prima di alzare lo sguardo a lui con gli occhi lucidi: il viso di Lisbeth si posò nell'incavo tra il collo e la spalla di Thomas, mentre la mano destra andava a stringersi forte alla sua vita, la sinistra che cingeva il capo del Serpeverde e il corpo della quindicenne aderito perfettamente a quello del ragazzo, in un abbraccio che lasciava poco spazio ai pensieri. Non aveva bisogno di comunicare quanto fosse stata male senza lui, quanto il vuoto lasciato dal padre la facesse sentire ancora più sola, quanto il dolore mascherato - a volte - le prendeva così forte da lasciarla per ore a fissare il vuoto e a piangere da sola.





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