Little do you know

Vicolo Diagon Alley - Amelia&Grace

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    Amelia Evans | Cercatrice Tassorosso IV, 14y | Scheda
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    Non era chiaro cosa stesse succedendo, non era chiaro chi fosse coinvolto, non era chiaro cosa c'entrassero i suoi zii o i suoi cugini. Non era chiaro niente e l'unica a cui avrebbe potuto chiedere delucidazioni la odiava. E quindi, cosa avrebbe potuto fare in quel caso se non abbassare coda e orecchie e scrivere a Grace, sperando che le rispondesse o che si presentasse? Aveva mandato quel SOM la sera prima, subito dopo aver ricevuto una risposta non sufficiente da sua madre e un silenzio assordante da suo padre. Tutto, da mesi, tra loro andava avanti in modo strano: si parlavano a malapena e Amelia aveva notato che non si abbracciavano né baciavano ormai da un sacco di tempo. Per quanto fosse stata sempre turbata da comportamenti del genere, nel profondo le piaceva vedere quella complicità tra loro, anche se alle volte voleva dire che un loro 'no' fosse categorico perché entrambi d'accordo. Poteva forse approfittare di quella situazione? Sicuramente e l'avrebbe fatto se le fosse servito, come esattamente quella mattina quando la lasciò nella piazza principale dicendole che anche suo padre la lasciava lì dicendole solo tra quanti minuti dovevano rivedersi esattamente allo stesso punto, mentre lei era in giro con Sophie o Zoe. Anche se non era vero. Suo padre voleva sempre incontrare e salutare le sue amiche prima di andarsene, ma quello la mamma non l'avrebbe chiesto, perché pareva che meno parlassero di suo padre, meglio era. Così accettò quella modalità senza fare storie, chiedendole di rivedersi lì tra massimo una mezz'oretta prima di lasciarle a fare un altro giro, giusto per tenerle d'occhio e subito dopo quelle parole, Amelia schizzò via nascondendosi immediatamente nel vicoletto accanto al Ghirigoro, appoggiandosi al muro più in fondo in modo da restare nell'ombra tra i due palazzi. Avrebbe atteso lì sua cugina Grace.


    #F4D06F Parlato #56351E Pensato

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    Grace Lewis-Tisdale , Grifondoro, VI anno

    "I'm tryin' to make it better piece by piece"

    Era un periodo di merda, in un anno di merda, in cui stavano accadendo solo cose merdosamente di merda. Praticamente sarebbe andata meglio se un erumpent avesse deciso di scorreggiarmi in faccia. Che odio. No, ma buongiorno mondo! Non è così che si devono iniziare le giornate? Quel giorno mi giravano i boccini, se non era ancora chiaro, non so se più perché iniziavo seriamente a pensare che i miei si fossero fumati qualcosa di pesante, con quella storia dell’America, o se perché mi toccava prendere la corriera per raggiungere Londra. Io dico – per tutte le puffole pigmee spelacchiate del mondo – ma per quale diamine di motivo non potevo farmi portare a Londra da mamma e papà? No, doveva fare l’agente segreto di sto cavolo, lei! Come se io non avessi già abbastanza pensieri per la testa, poi. Credevo che fosse tutto superato, dopo gli esami, il tirocinio era andato bene e ci avevano parlato di un “viaggio divertente”. Sì, alla faccia di divertente, quella codarda testa di carciofo di mia madre ci voleva spedire nel buco più remoto del mondo magico per tenerci lontani dall’azione, ecco cosa! Ok, forse gli stati uniti non erano proprio un buco remoto, ma la mia vita era lì, i miei amici erano lì ed era lì che io volevo portare avanti la mia istruzione e poi la mia carriera. Anche perché, che pensava? Che un anno in una scuola estera potesse cambiare le cose? Mancava solo un anno al mio esame di smaterializzazione e poi dopo quello sarei tornata tutte le volte che volevo. Oppure mi sarei comprata una passaporta permanente. O avrei noleggiato quei cosi babbani che volano. Avrei trovato un modo, comunque, quindi era tutto inutile. Ah e poi loro sarebbero rimasti lì! Ma che dannazione di modo era? Abbandonare così i propri figli! E chi glielo diceva che in America non ci fossero maghi oscuri o qualsiasi cosa stesse accadendo nel mondo magico? Che poi, una roba del genere me la sarei aspettata dalla mamma, ma quello che più do tutti mi aveva stupito era papà. Cioè, lui era un membro del corpo del Ministero che proteggeva le persone, come gli veniva in mente di essere così vigliacco? Beh, quindi sì, insomma, non ero proprio tranquilla. Però quella testa vuota di Amelia Evans mi voleva vedere e sembrava importante, quindi avevo deciso di accantonare – per un momento – il fatto che la odiassi a morte, per andare a sentire che volesse da me. E sì, avevo preso la dannata corriera! Una volta arrivata nella Londra magica mi ero diretta verso il Ghirigoro, perché da brava drama queen quale non smetteva mai di essere, la Evans aveva deciso di incontrarci in un vicolo. Che gliene fregava al mondo che noi ci vedessimo lo sapeva solo lei. E se lo stava facendo per la sua reputazione... oh Godric fermami e dammi la pazienza, perché se mi dai la forza commetto un omicidio! Preso un grande respiro e mi addentrai nella stradina, trovandola già lì, in fondo. Tipo una mafiosa. Almeno era stata puntuale. Che c’era di così urgente? Chiesi. Mi fece un certo effetto rivederla, lo ammetto, ma non le avrei mai dato la soddisfazione di ammetterlo o darlo a vedere. Stupida, stupidissima cugina. Ricordati, Grace, tu sei arrabbiata. Arrabbiatissima.



    #ff5555 Parlato #ff7171 Pensato
     
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    Certo avevano litigato e certo Grace adesso la odiava e probabilmente avrebbe preferito incrociare un Dissennatore pronto a baciarla piuttosto che andare da lei, ma Amelia aveva bisogno di sapere come stavano le cose. Il pomeriggio prima aveva finito le patatine ed era pronta ad andare a buttare la busta in cucina, quando prima di entrare aveva sentito il tono sommesso dei suoi genitori che, raccolti intorno al tavolo, stavano parlando di qualcosa che lei non riuscì subito a capire. Le parole "America" e "Isolde" erano state le più chiare fino a quanto "trasferire i ragazzi" non era arrivato alle sue orecchie, facendole sgranare gli occhi e spalancare la porta. Amelia non era affatto la ragazzina che sente qualcosa e se la tiene per sé, piuttosto quella che prende il toro per le corna e affronta la situazione, chiedendo immediatamente spiegazione. E così aveva fatto anche quel giorno, restando con una mano poggiata sul pomello della porta e l'altra aggrappata alla busta vuota. Peccato che sua mamma l'avesse rimproverata perché non si origliano le conversazioni private, aggiungendo che no, avrebbero fatto solo un viaggio negli Stati Uniti e niente più. Suo padre invece, si era limitato ad incrociare le braccia al petto e ad abbassare la testa con un sospiro. Niente di tutto quello era normale, non che ci fosse normalità in quella casa da un mese a quella parte e nonostante Amelia non sapesse perché, in quel momento era stato davvero l'ultimo dei suoi problemi. L'unica che avrebbe potuto sapere qualcosa era Grace e l'unica di cui si fidava nel chiedere delucidazioni, così non appena fu ora, si defilò andandosi a rintanare in quello spazio angusto tra i due negozi, in una stradina secondaria. Quando rivide la Grifondoro, con un passo avanti fu tentata di abbracciarla e ringraziarla di essere andata da lei, ma si trattenne fermandosi a qualche metro da lei e cominciando a torturarsi le dita con le mani. Cosa doveva dirle? Chiederle come stesse? E se stava male e lei non avrebbe potuto fare più niente per aiutarla? O peggio: se fosse stata benissimo, se non meglio da quando si erano allontanate? No, quella domanda era fuori discussione. Come fosse andato il tirocinio? Le vacanze? Anche quelle, no. I convenevoli - perché quello sarebbero sembrati - non avevano più nessuno spazio lì. - È-è vero che ti trasferisci? Che vi trasferite. Negli Stati Uniti. - Tirò fuori con voce tremante. Niente giri di parole, in quelli non era mai stata brava. Chiara, schietta e diretta era sempre stata la sua modalità e ora, probabilmente, le tornava più utile che mai.


    #F4D06F Parlato #56351E Pensato

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    Grace Lewis-Tisdale , Grifondoro, VI anno

    "I'm tryin' to make it better piece by piece"

    Non parlare con Amelia per tutta l’estate era stata la cosa più difficile che io avessi mai fatto, credo. Eravamo state praticamente inseparabili da quando lei aveva imparato a camminare e quell’anno ci aveva messo di fronte a talmente tante difficoltà che non riuscivo davvero a credere che fossimo arrivate a quel punto. Avevo sempre pensato che io e lei potessimo superare ogni cosa, che avevamo qualcosa di speciale perché oltre ad essere migliori amiche eravamo anche cugine e quindi quello valeva doppio. Eppure era successo qualcosa, ad un certo punto, ed io non sapevo nemmeno quando e cosa fosse. Forse era stato quando la zia era stata attaccata, o forse quando io avevo provato a scappare da Hogwarts. L’unica cosa di cui ero certa era che non riuscivo a riconoscerci, in tutto quello. Potevamo essere cambiate davvero così tanto? Certo, il mondo ci era crollato sotto i piedi – ed il mio era ancora in pieno tumulto – ma poteva essere stato così grave? Quella sua richiesta di vederci, quindi, mi lasciava questo sapore dolce amaro in bocca, perché non capivo bene come sentirmi a riguardo. Ero arrabbiata con lei, ovvio, ma al tempo stesso volevo prenderla sotto braccio e raccontarle di tutto lo schifo che stavo passando. Ero partita con le peggiori intenzioni, lo ammetto, con aria scostante e l’atteggiamento scontroso, perché lei era sparita, mi aveva lasciata sola e mi cercava così, all’improvviso, alla fine dell’estate perché aveva bisogno Godric solo sapeva di cosa. Tuttavia, quando la sentii parlare, non riuscii a sentire un imponente nodo alla gola formarsi e stringerla fino a farmi mancare il fiato. Oh. Quindi era di questo che voleva parlare. Strinsi le mani a pugno, fino a conficcarmi le unghie nei palmi. Casa era diventata un delirio in quei giorni, mentre mamma e papà continuavano a dire che lo facevano per la nostra sicurezza. Da che doveva essere solo una vacanza, quel nostro viaggio in America si stava trasformando in un incubo. Non volevo partire, non volevo lasciare Londra, Hogwarts e tutti i miei amici. Non volevo dire addio alla mia vita, non di nuovo. Ma non volevo nemmeno abbandonare la mia famiglia. Il pensiero che, in ogni caso, lo avrei fatto lasciando gli zii, Amelia ed Emma lì, mi fece inumidire gli occhi. Annuii quindi, mordendomi il labbro inferiore, senza riuscire a parlare. Sentirlo dire a qualcun altro lo faceva sembrare così spaventosamente reale. Presi un grande respiro, aprendo la bocca nella speranza che le parole uscissero da sole, ma volevo solo piangere ed urlare. Partiamo domani per visitare la scuola. Dissi in un sussurro che sarebbe stato appena percettibile, prima di scoppiare a piangere e fare un passo verso di lei. Per Godric, io non voglio andarmene!



    #ff5555 Parlato #ff7171 Pensato
     
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    Fin da piccola Amelia aveva sempre avuto la tendenza ad essere prepotente, che fosse con le proprie cose o con le cose che lei pensava fossero sue, una specie di recinto circondava lei e i suoi averi, così come i suoi affetti e avrebbe lottato con le unghie e con i denti per proteggere tutto ciò che le stava a cuore e che ritenesse essere una sua responsabilità. Come quella volta che durante un volo di troppo - puntualmente in casa come non voleva Zia Isolde - avevano rotto un vaso e lei si era addossata tutta la colpa solo perché non sopportava vedere Grace dispiaciuta o mortificata. E non era solo prendere le sue difese, anzi molte volte era stata la scarica di autostima per la Grifondoro, non che le mancasse certo ma ogni tanto quando diventava difficile trovarla, Amelia era lì a sbattergliela in faccia come un fiume in piena. Erano sempre stato quello l'una per l'altra e per quello le parole sommesse e a metà dei suoi genitori l'avevano allarmata. Perché sì, forse era stata una stronza, forse era pronta a prendersi tutta la colpa pur di non far soffrire Grace se solo avesse saputo che stesse ancora male per loro due piuttosto che immaginare che fosse andata avanti senza nessuna intenzione di guardarsi indietro e forse sua cugina era pure pronta a partire per quella cavolo di America, ma ciò non voleva dire che lo fosse anche lei. Nonostante la lontananza e la litigata, una cosa era saperla lì ad un passo da sé e un'altra era sapere che fosse dall'altra parte del mondo. Averla vicina voleva dire avere tutto il tempo per chiarirsi, per crescere e comprendersi, magari anche fare pace; averla lontana voleva dire non avere più nessuna possibilità, più nessun futuro. Grace avrebbe voltato pagina e via, nuova vita e ricordi lasciati a marcire in un punto indefinito delle campagne Inglesi mentre lei era già lontana chissà dove negli States. Ricordi lasciati addosso ad Amelia che non avrebbe più saputo che farne, senza neanche la possibilità di metterli via anche lei. Quando la risposta affermativa della Grifondoro arrivò, per Amelia fu come ricevere un pugno in pieno stomaco. Il cuore era salito in gola e qualcosa di pesantissimo era caduto in basso nella pancia. Era quello che si provava davvero a perdere la terra sotto i piedi? Quando quel febbraio fu attaccata sua madre il tempo fu talmente ristretto e dilatato al tempo stesso che Amelia difficilmente si ritenne cosciente e senza esserlo del tutto era facile vivere le emozioni anestetizzate. Un presente di cui neanche lei aveva ben capito la portata. Davanti a Grace in quel momento invece c'era, sapeva perfettamente cosa stava succedendo e le sue paure fondate avevano trovato conferma nelle parole della Grifondoro. Era tremendo essere lucidi in un momento simile. - O-oh. - Fu l'unico sospirò che riuscì a lasciarle le labbra, ma per fortuna che il suo sguardo corse ad incrociare quello della Grifondoro perché la sua paura e il suo dolore la raggiunsero con un'ondata travolgente. Che Grace avesse sei anni come la prima volta che Amelia si fece avanti per lei o che ne avesse ormai sedici, non faceva differenza, era sempre sua cugina che non meritava di essere triste. Seguì d'istinto lo slancio di Grace per raggiungerla, ormai anche lei con un'espressione dispiaciuta e le lacrime a bagnarle gli occhi. Era panico quello che sentiva venire da sua cugina? Neanche lei voleva che se ne andasse, ma quello non lo avrebbe ancora detto perché grace poteva avere un miliardo di motivi che la spingessero a voler restare lì che non c'entravano niente con lei. - N-no, non devi andartene se non vuoi. - Rispose con voce tremante per rassicurarla dopo averle preso la mano e aver cominciato ad accarezzarle il braccio per tranquillizzarla. Avrebbe voluto abbracciarla e stritolarla, farle sapere che tutto il resto non contava se lei era infelice e che prima di essere sua amica lei era la sua famiglia e che da quella non si scappa, neanche in capo al mondo. Ma era ancora troppo inesperta con le parole, troppo spaventata al momento per avere la lucidità di spiegarle una cosa simile. - Perché dovresti cambiare scuola? - Perché i suoi genitori non le avevano risposto sinceramente, piuttosto. Era improvvisamente arrabbiata con loro, con entrambi che da qualche settimana a quella parte sembravano essere due estranei sotto lo stesso tetto; con entrambi che erano sempre così discreti e chiusi tra loro quando in realtà in famiglia succedevano cose di quella portata. Erano insopportabili. Volevano davvero che Grace soffrisse a quel modo da sola e in silenzio? Anche se non erano più amiche e se non si parlavano più, Amelia si sarebbe fatta passare addosso con un carro armato prima di abbandonarla. Probabilmente aveva i suoi amici a sostenerla? Andava bene, l'importante era che sapesse che ci sarebbe stata sempre anche lei, seppur in un angolino ad attendere pazientemente il suo turno.


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4 replies since 3/8/2021, 07:32   88 views
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