Smistamento Lee Min-Jun

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    Lee Min-Jun
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    Min-Jun. Un nome, una garanzia. Dove c'era quel ragazzino, automaticamente c'erano casini. Proprio come un uragano. Sua madre non riusciva a capire da chi avesse preso, dal momento che il padre era un uomo pacato e molto riservato e lei stessa non aveva mai avuto un comportamento particolarmente irrequieto. Però Jun, oh, lui sì che lo era. Aveva l'abitudine di terrorizzare i ragazzini del suo quartiere, forse perché essendo l'unico asiatico in quelle strade si sentiva nettamente inferiore e voleva farsi valere, o più semplicemente perché forse ci trovava gusto. Difficile a dirsi. Si sentiva come il re del mondo, nel suo piccolo gran da fare; potente ed inarrestabile. Non era raro vederlo aggirarsi per le stradine in sella alla sua bici rossa come le fiamme, magari iniziando a pedalare velocemente verso la prima vittima che riusciva a trovare sul suo tragitto. E da quel momento erano cavoli amari, perché portava sempre con sé dei palloncini pieni d'acqua da tirare addosso e..poveretti coloro che lo incrociavano. Era come se ogni giorno fosse sotto l'effetto di una massiccia quantità di zucchero ingerito durante le ore di sonno; si svegliava e partiva a razzo fino alla sera, quando poi crollava come un castello di sabbia sul divano, in braccio al padre.
    Quella mattina, quella famosa mattina di inizio settembre, non era diversa dalle altre. Jun era talmente esaltato per la partenza che aveva fatto irruzione in camera dei suoi alle 6 del mattino, iniziando a saltare sul materasso in mezzo ai due, che purtroppo ancora dormivano. Oh certo, e ovviamente aveva pure iniziato a sbraitare ed urlare - ANDIAMO AD HOGWAAAAAAAAAAARTS! - Sicuramente il vicino era caduto dal letto per colpa sua, ma dettagli.

    Inutile dire che durante tutto il viaggio si era fatto riconoscere dai coetanei; aveva cambiato sì e no dieci scompartimenti diversi alla ricerca di primini come lui che lo "ispirassero". Per farla breve, Jun era convintissimo di essere in grado di inquadrare le persone al primo sguardo; ovviamente non era così, ma lui era convinto del contrario. Come i bambini che credevano a Babbo Natale, per esempio. Perciò o gli andavi bene a primo impatto, oppure era come se per lui non esistessi. Per fortuna col passare degli anni capirà di non esserne capace. Dulcis in fundo, quindi, aveva preso posto insieme a due coetanei che parevano condividere le sue passioni e che invece alla fine aveva fatto scappare. Okay, non era mai stato bravo a farsi degli amici, dopotutto. Forse perché parlava troppo e come un treno in corsa, oppure perché non tutti erano interessati alle storie, per esempio, di come venivano trattati gli animali al macello, o quelle di terrore che Jun trovava assolutamente avvincenti. Aveva giusto letto un sacco di libri in biblioteca. Difficile da credere, ma non impossibile. Essendo un ragazzino curioso e affamato del sapere, non riusciva proprio a farne a meno. Tuttavia teneva questa "stranezza", come la definiva, solo per lui. Insomma, se nel quartiere fossero venuti a conoscenza che leggeva tantissimo..no, non osava nemmeno pensare alle terribili conseguenze. Brividi di paura lo attraversavano, ogni volta che gli veniva in mente.

    Arrivati al castello, no, non era per niente stanco (anzi, probabilmente quella sera i suoi futuri compagni di stanza avrebbero dovuto addormentarlo lanciandogli qualcosa in testa), aveva seguito la massa per non perdersi, aprendo però bene gli occhi con l'intento di non farsi sfuggire magari qualcosa d'importante. - Sono veloce come un ghepardo, swishhh. Sono furbo come una volpe, tsss. Ti passo accanto e non mi vedi, occhio per occhio prezzemolo e finocchio! - Oh sì, nella sua testa c'era un party a cui nessun altro era invitato, perché all'esterno niente di ciò traspariva se non un flebile fischiettare a tempo di quella canzoncina completamente inventata. Eppure non si era meravigliato come molti altri, per la maestosità del castello o più semplicemente per essere lì; Jun non era facilmente impressionabile, ecco. Ma sapeva che avrebbe dovuto attendere il suo turno per andare dal cappello parlante, dato che glielo avevano detto i suoi con la raccomandazione di "portare pazienza". Pazienza, lui? Già il fatto che c'erano un sacco di primini lo infastidiva, perché stava a significare che ci avrebbero impiegato più tempo a smistarli tutti, e il suo cognome iniziava con la L perciò doppio rodimento. Per tutto il tempo non era riuscito a stare fermo; continuava a guardarsi intorno, il piede destro non smetteva di stare fermo e continuava a battere la punta velocemente contro il pavimento, e le mani dentro le tasche giravano e rigiravano il tessuto della divisa. Di lì a poco avrebbe urlato. Voleva farlo, ne sentiva il bisogno.

    - Lee Min-Jun. -

    Gli occhi, come due saette, si erano andati a posare sul preside fermandosi, proprio come un resto del corpo, in un attimo. Carico di tutta la sua sicurezza che, diciamocelo, abbondava, era partito in quarta facendo lo slalom tra i presenti come una sardina, per arrivare su quella maledetta sedia e sedersi. - Ohhh, finalmente. Ah, prima però voglio dare un piccolo, minuscolo suggerimento, giusto per il futuro. A scopo benefico. Non fateci aspettare in piedi come dei condannati a morte, che cavolo. Mi fanno male i piedi e lo stomaco brontola! - Aveva esclamato visibilmente contrariato, con una smorfia, prima di bofonchiare qualcosa in una lingua che di sicuro non era inglese. In quel momento l'unica cosa a cui riusciva a pensare era - Cibo, tanto cibo. Stasera mi mangio pure le verdure, se ci sono. - (strano, perché di solito aveva una miriade di pensieri che gli frullavano in quella testolina) nonostante l'imminente scelta del cappello parlante. Non era per niente agitato, no. Impaziente, sì.


    ~parlato ; pensato


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