AccioHogwarts2

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    Roan aveva la mente annebbiata. Come se tutto quelli si trattasse, inspiegabilmente, di un sogno ridicolo dal quale avrebbe dovuto tirarsi fuori. Per la prima volta da quando quella conversazione era iniziata bevve quello che aveva ordinato.
    -Ma... fa schifo!- Si disse probabilmente mostrando sul viso un'espressione invereconda. Mandò giù, comunque, e tornò a guardare Irene che nel frattempo gli aveva negato il suo aiuto asserendo che non fosse il suo ambito. Avrebbe sfidato qualcuno ad affermare che il suo ambito di competenza fosse dare la caccia ai lupi mannari. Forse esistevano davvero delle persone del genere ma non ne aveva idea.

    Pareva che, in ogni caso, avesse trovato il modo, quanto meno, di risolvere la questione. Parlarne al preside di Hogwarts era la mossa più saggia ed il contenuto della valigetta poteva starsene buono per un po'. Si schiarì la voce come se Irene, in effetti confermando ciò che lui diceva. Analizzando bene la questione non poteva essere una creatura magica incontrollata e doveva trattarsi di qualcuno che si trasformava appositamente nella feroce bestia.

    Tutto ciò era inquietante. In ogni caso la presenza della donna lo aveva, in un certo qual modo, fatto ragionare e tranquillizzato. Quindi le sorrise stavolta arrivando ad una conclusione.
    -Devo andare in fondo a questa storia-.

    «Devo dire che mi hai aiutato a ragionare molto. Te ne sono grato e...». Agitò la mano come per disegnare le parole che non gli venivano più. «Non mi sembra di essere capitato proprio male. Insomma, poteva andare molto peggio». Per la prima volta da quando si erano conosciuti le sorrise liberandosi in un lieve risatina. Doveva dire che la trovava interessante sotto molti punti di vista.
    «Dicevi di essere di fretta, non voglio toglierti altro tempo». Si grattò dietro la nuca con la mano destra. Era un po' nervoso, lei lo guardava con curiosità.
    «Magari potremmo uscire qualche volta, che ne dici?».

    Edited by Hatrax - 29/12/2020, 14:16
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    jZJauBG
    Luka entrò nel ristorante, accompagnata dal cameriere al tavolo. Ronald la osservò con un sorriso finché non si fu accomodata innanzi a lui. Quando lei gli chiese scusa per il ritardo l'amministratore delegato scoprì il polso sinistro osservando l'orologio. Si era reso ben conto dell'ora ma volle controllare.


    «Sei stata puntuale al secondo, direi». Concluse infine tornando a guardarla in modo tutt'altro che affabile ma con intensa simpatia. Il suo sguardo non si era mai indurito con lei, le aveva sempre regalato espressioni decisamente cordiali ed affabili. Quando il cameriere si avvicinò non si azzardò mai a dirle che potesse ordinare ciò che volesse, perché il tutto era implicito. D'altronde era stato ben chiaro inizialmente: era sua ospite, e gli ospiti di Ronald J. Keane non dovevano mai porsi alcun limite.
    «Una bottiglia di vino bianco». Disse quando il cameriere si rivolse a lui e non ebbe nemmeno bisogno di chiederglielo. Ronald poi ordinò ciò che aveva in mente, nulla di molto differente dal solito. Era spesso cliente de Il Vascello e la sua cucina gli era nota: punti forti e deboli. Ronald era intransigente sul cibo.
    «Sai Luka, considero il cibo uno dei piaceri più importanti che questa vita possa offrirci. Nessun uomo dovrebbe privarsi del vino, delle ostriche o delle aragoste. Non credi?». Non a caso quest'ultimo crostaceo pregiato era il composto del suo primo piatto. In ogni caso i convenevoli potevano essere abbandonati, perché fino al dolce c'era molto tempo per discutere.

    «Vedi... Quando ci siamo incontrati oggi credo di aver ottenuto la risposta ad un dilemma che mi ha sempre attanagliato. La differenza tra babbani e maghi». La premessa poteva lasciar intendere che quello che Ronald si appropinquasse ad enunciare fosse un discorso filosofico. Nel caso in cui Luka avesse creduto ciò, ne sarebbe rimasta enormemente sorpresa. Il signor Keane si bloccò nel momento in cui il cameriere giunse con le bevande trasportandole con l'ausilio della magia. Con altrettanta maestria nell'utilizzo della bacchetta stappò la bottiglia di vino bianco e, facendola fluttuare, versò il contenuto nel bicchiere. Quando il cameriere si allontanò il signor Keane continuò il proprio discorso afferrando il calice tra le quattro dita.
    «I maghi, Luka, sono come l'acqua di una palude. I babbani sono un mare in tempesta. Fermi sulle nostre convinzioni imputridiamo come l'acqua che non viene sospinta dal vento. Il mondo magico ha bisogno di lungimiranza. Ha bisogno del futuro, ed i bambini sono il futuro. Tu, ti curi del futuro». Finalmente Ronald diede un sorso al vino che gli aggredì la lingua e la gola.
    «I ragazzi entrano a 11 anni ad Hogwarts. Io ho intenzione di fondare un'istituto che per giovanissimi maghi, che si prenda cura di loro dalla più tenera età e che li prepari all'esperienza di Hogwarts». Negli occhi e nell'espressione di Ronald si poteva intravedere una scintilla di passione.
    «Ovviamente, non ti chiederei mai di lasciare l'Irlanda a meno che tu non lo volessi. Sarebbe mio desiderio che tu e la tua socia lavoraste con me, ma posso capire che tu non voglia abbandonare la tua attività. D'altronde... Che ne diresti se tu e la tua socia diveniste presidi?». Il sorriso di Ronald si allargò.

    «La faccio breve. Ho intenzione di entrare come socio di maggioranza nella vostra attività, al 80%. Il che significa che investirei tutto il denaro necessario affinché tu e la tua socia siate ben pagate con uno stipendio fisso. Inoltre manterreste il 10% a testa sul vostro asilo in Irlanda, come garanzia. Inoltre qui nel mondo magico gestireste anche un altro istituto per bambini magici e sareste proprietarie sempre al 10% cada uno. Ovviamente... Avrete il compito di supervisionare il personale che assumeremo. Non escludo di incontrare il Preside di Hogwarts per trovare giovani volenterosi di passare il loro tempo con i bambini».
    Aveva parlato quasi indisturbato per tutto quel tempo, incurante che nel frattempo fosse arrivato anche da mangiare. Guardava le espressioni di Luka. Era una cosa molto grossa a cui rispondere e di cui parlare e le emozioni attraversavano il suo viso truccato leggermente. Era vestita e truccata da signora ma aveva più l'aspetto di una giovane ventenne sognante.
    «Cosa ne dici Luka?».
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    jZJauBG
    Pareva che la situazione potesse volgere ad un inaspettato vantaggio. Mentre Luka infatti calcolava attentamente i propri impegni un desiderio ardente e duro si faceva strada nel cuore di Ronald. Mentre fissava Luka che iniziava a contare gli impegni a mente e, forse silenziosamente a cercare una risposta alle sue domande, Ronald già si immaginava lì. Proprio in quel momento la maga gli disse che avrebbero potuto ritrovarsi per pranzo. Giusto in tempo, perché lui altrimenti sarebbe andato a mangiare da solo, come sempre, di li ai prossimi 15-20 minuti.
    Si mostrò incredibilmente ben disposto e lo fece mostrandole un sorriso a trentadue denti. Era evidente, a quel punto, che oltre ad essere semplicemente interessata alla sua compagnia fosse curiosa di ascoltare. Sembrava anche sapere il fatto suo, poiché dopo la proposta, come una vera contrattatrice, non aveva più parlato dell'argomento. La prima regola è, infatti, non estorcere mai informazioni preliminari perché la curiosità gioca brutti scherzi.


    «A pochi passi da Olivander, c'è un posto molto rinomato. Si chiama Il Vascello, immagino che tu ne abbia sentito parlare». Disse guardandola ormai senza sorriderle quasi più ma con gli occhi esprimendo un enorme compiacimento. Il Vascello era uno dei ristoranti più cari di Diagon Alley, con una location tra le più lussuose. Caratteristico perché, grazie ad una magia che incantava quel luogo, si aveva l'impressione di ritrovarsi proprio all'interno di un vascello del seicento. Un ambiente che, tutto sommato, si dimostrava caratteristico ed accogliente ed offriva ai clienti una leggera e sofisticata cucina di mare.
    «Sarai mia ospite, ovviamente. Ti aspetterò alle 13:30». Concluse poi tirò fuori la mano destra dalla tasca e schioccò le dita. Una strana polverina si dissolse ed in breve tempo al suo fianco apparve uno gnomo che reggeva un libricino. Le dita lunghe e l'assenza di troppe rughe (per uno standard gnomesco) mostravano forse la giovane età.
    «Signor Tum, dobbiamo modificare leggermente l'agenda di oggi. Alle 15, e non più alle 13:15, incontrerò i delegati di... tu sai chi». Lo gnomo fece una faccia strana ma fu ben lungi dal protestare. Aprì il libricino e segnò, asserendo qualcosa che assomigliava molto ad un "sissignore".
    «Inoltre, devi recarti al ristorante Il Vascello e prenotare un tavolo per due a mio nome». Lo gnomo appuntò ancora ciò che gli veniva detto in maniera encomiabile e poi scomparve all'improvviso così com'era apparso. Ronald tornò a guardare Luka e le sorrise. Le fece un cenno del capo.
    «Ci vediamo tra poco, Luka». Le disse e poi la superò dirigendosi al ristorante direttamente. Avrebbe passato qualche minuto da Olivander perché gli occorrevano alcuni consigli e poi, dopo molti altri giri in attesa della fatidica ora si presentò innanzi al ristorante Il Vascello alle ore 13:20.

    Il ristorante aveva un'entrata molto singolare. Due colonne di marmo sorreggevano un'insegna a forma di nave. Un vascello appunto. All'interno dell'insegna magicamente il nome del ristorante appariva e poi scompariva come se fosse un'insegna elettrica a scorrimento. Immediatamente venne accolto all'ingresso senza nemmeno che fosse necessario presentarsi. Ronald non disse una parola e seguì il cameriere. Messo il primo piede nel ristorante ebbe come la sensazione che il pavimento si stesse muovendo. In realtà non era una sensazione, il pavimento si muoveva davvero come fosse una nave che viaggia sul mare ma senza mai sbilanciare chi ci camminava sopra.
    All'interno il ristorante si presentava assai lussuoso e ben organizzato. Rosso e bianco erano i colori dominanti: un tappeto molto lungo introduceva alla sala dove spuntavano le assi di legno su cui si camminava. Allestito come se fosse il cuore pulsante di una nave, la struttura centrale di una sottocoperta di un vascello appunto, ma addobbato con arazzi e quadri davvero ben dipinti.
    Ronald si accomodò al tavolo e non ordinò nulla. Sebbene il cameriere insistesse per portargli almeno l'acqua il signor Keane lo congedò ugualmente. Non era buon costume ordinare prima che si fosse tutti a tavola insieme.
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    jZJauBG
    Luka era rimasta a bocca aperta, in senso metaforico s'intende. Non capitava tutti i giorni, e questo doveva averlo capito, di poter parlare con un uomo come lui. Era addirittura ancora restia ad utilizzare anche una certa formalità nel linguaggio. Ronald non avrebbe insistito, in fondo si beava anche di quel rispetto insistente. Era facile capire che Luka Liddle fosse una tipa prudente ma aperta ad ascoltare gli altri, tanto che la proposta di Ronald di vedersi quello stesso giorno venne accolta. Ovviamente vi erano delle difficoltà, e questo il magnate della Gringott poteva ben immaginarlo. Dopotutto chi non avrebbe avuto dubbi da voler quanto meno dissipare con persone di fiducia. A quanto sembrava, e la cosa non era certo meno importante, Luka era in affari con una certa Joele. Questo rendeva tutto molto più semplice.

    Appena giunti innanzi al negozio i figli della donna si fiondarono dentro. Quei ragazzini, doveva ammetterlo perfino lui, sembravano dei pazzi scalmanati. Certamente, in fondo, tutti i bambini lo erano ma se Luka riusciva a tenere a freno quei due, in particolare, allora non avrebbe avuto problemi con il progetto che aveva in mente per lei.

    Ronald l'ascoltò sempre silenzioso e tutto d'un pezzo. Ad un certo punto sembrò di granito mentre i suoi occhi non si staccavano da Luka. Immaginò di non poter portare i suoi figli a quell'incontro, e questo era certamente un tema. Ronald tenne le mani in tasca e si liberò finalmente con un'espressione benevola quando lei gli fece capire che quel colloquio sarebbe certamente avvenuto.

    L'uomo tirò ancora una volta fuori l'orologio. Guardò l'ora e poi la comunicò.
    «Cosa ne dici, di ritrovarci alla Gringott per le 16:00? Adesso sono le 12:35. Come tempo dovrebbe essere più che sufficiente». Attese qualche secondo sperando che le dicesse di si o anche potesse anticipare il loro incontro. Era certo che Luka avesse voglia di scoprire che cosa avesse in mente, forse più di quanta ne avesse lui di proporle quell'affare. Era evidente che in quell'occasione avesse avuto un colpo di fortuna, una sorta di illuminazione.
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    jZJauBG
    Mettersi nei panni degli altri non è veramente semplice. Chi dice di saperlo fare bene, senza empatizzzare abbastanza con gli altri, crea in realtà in se stesso una contraddizione. Un meccanismo marcescente di supponenza. Insopportabile, perché si trasmuta in una falsa ipocrisia. Ronald si era semplicemente, da sempre, tenuto alla larga da questa sorta di virus: egli non voleva essere compatito e non voleva compatire. Guardava tutto attraverso il monocolo dell'interesse e del ritorno. Le grandi opportunità, come le grandi aspettative, vanno colte o soffocate affinché altri non possano usufruirne.
    L'allegra combriccola si diresse, in quel frangente, verso il negozio. Luka spingeva il passeggino e gli dava l'impressione che quello fosse un modo per trasmettere la passione di una madre al proprio figlio. Magari non se ne rendeva conto, ma dalle sue mani, e su lungo la plastica ed il ferro dei componenti del passeggino, un formicolio contorto si emanava diradandosi ai suoi figli. Quell'energia era una forza incontrollata e costante che si incuneava sotto la pelle della sua prole. Una madre è qualcosa che non si riesce a spiegare per un figlio, qualcosa che va anche al di là del concetto stesso di essere umano.
    I suoi genitori avevano amato lui e suoi fratelli. Li avevano cresciuti addestrandoli come maghi aggressivi. Dicevano che la magia era tutto, e che era un tutt'uno con l'universo. Dicevano che "proibito" era solo un termine usato dagli inetti che non volevano far progredire la scienza. I suoi genitori erano tutto per lui, ma erano degli stolti ed appartenevano alla stessa risma degli inetti che detestavano. Per questo li aveva usati come esca, per questo li aveva condannati insieme ai suoi fratelli.

    «Non c'è dubbio allora, che tu possa chiamarmi per nome». Ronald sorrise e la sua bocca assunse una posa quasi veemente a metà tra la durezza e la gentilezza. Era il suo modo più sofisticato per passare ad un linguaggio informale. Doveva ammettere che Luka avesse molto di cui parlare e, soprattutto, tante esperienze lavorative e di studio. Non era una sprovveduta e ciò rendeva il loro incontro ancor più interessante. Il marito era un poliziotto. Nel mondo babbano ne aveva trovati davvero moltissimi, erano uomini d'ordine e di legge. Manganelli esecutori. Un lavoro normale al servizio dello Stato, per persone che amavano la famiglia.
    Sussultò quando Luka affermò che trovare persone completamente purosangue fosse raro. Non poteva sospettare, era ovvio, ma quell'affermazione lo colpì ugualmente. Così come lo colpì che, in egual misura, avesse un pensiero in parte positivo verso i babbani ma in parte reticente. Così, quando chiese la sua opinione, Ronald si sentì di dire, almeno in quella circostanza, una cosa che pensava davvero:
    «Penso che i bambini siano il futuro di entrambi i popoli. Babbani e maghi sono esseri umani. Molto spesso un mago può essere assai più ottuso di un babbano, anche tra i bambini. Credo che in questo mondo non ci siano abbastanza persone come te, Luka. La tua passione e la tua competenza mi colpiscono molto». Guardò l'orologio. Per antonomasia Ronald J. Keane non era mai in ritardo, nessuno avrebbe nemmeno osato farglielo pensare. Eppure c'era una cosa che voleva fare.

    Mentre era in atto quella discussione raggiunsero finalmente il negozio di pergamene. Si fermò davanti e si girò completamente verso di lei. Lo sguardo di Ronald era trasportato dalla passione.
    «Luka Liddle, è certo che il nostro incontro non sia stato propriamente un caso. Qualche destino deve averci fatti incontrare». Il sorriso che si disegnò sulla bocca dell'amministratore delegato emanava un impercettibile ambiguità ma era il sorriso di chi vedeva quella grande opportunità che aveva, fino a quell'istante, soltanto accarezzato.
    «Capisco che la tua giornata possa essere già occupata, o piena, ma vorrei parlarti nel mio ufficio. Oggi stesso, se possibile. Ovviamente, non temere, verrò incontro alle tue esigenze, ma vorrei che potessimo parlare in un posto riservato».
    Attese un istante ed alzo le mani a livello del proprio viso aprendo i palmi. Nel dire quelle ultime parole le tirò giù come un direttore d'orchestra di lungo corso. Allargò un sorriso confidenziale e rassicurante.
    «Ho un affare da proporti».
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    jZJauBG
    Il desiderio è come una parte di noi che possiamo ben ascoltare. Senza farci prendere troppo in giro e senza credere abbastanza alle fantasia che esso riesce a scatenare. Giorno dopo giorno, il desiderio avvelena la mente degli uomini facendogli credere cose che non sono o che non dovrebbero essere. Ronald era avvelenato dai propri desideri ma era anche altrettanto ambizioso da sapere come coltivarli. Man mano creava intorno a sé un ambiente perfetto e perfezionabile, covava fraudolenze e tesseva i fili dell'inganno. Minimamente lo sfiorava l'idea che potesse fallire in qualcosa, e perfino in Luka vedeva una grande opportunità ed un desiderio si legò, in quel momento, indissolubilmente alla sua persona.

    Sorrise mesto alla domanda della signora Liddle. Figli? Certo che ne aveva, ma di loro non gli importava nulla. Non sapeva nemmeno se fossero vivi, ma ricordava con precisione le donne con le quali li aveva messi al mondo nelle terre babbane. Era una domanda strana ma la ascoltò senza proferir parola e quando Luka si spiegò tutto divenne più chiaro. In realtà Ronald era davvero interessato al suo lavoro, ma non nelle modalità che credeva lei.

    Sorrise quando fu la bambina a precisare le intenzioni della giornata. A quanto pareva i ragazzini di Luka erano svegli, impertinenti quanto bastava, e certo di grande personalità. Non avevano paura di niente e sembravano cresciuti alla maniera dei maghi. Il fatto stesso di aver dato dei "tonti" ai babbani era un lieve segno che meritava di essere approfondito.

    «Non ne sarò certo infastidito né disturbato. Mi piacciono i bambini anche se non ne ho di miei». Mentì rispondendo in una frase soltanto a tutte le domande. Era tipico di Ronald, amava le sintesi ed i fatti alle parole. Non era un tipo da chiacchierata nel parco. Proprio per quello, se Luka lo avesse conosciuto, avrebbe potuto dire che stesse tramando qualcosa e che la sua conversazione con lei non fosse totalmente disinteressata.
    Le sorrise in ogni caso.
    «Il negozio di pergamene è in quella direzione...» Con un altro sorriso aprì la strada alla donna e le si mise accanto tenendo sempre la mano con l'orologio da polso in tasca e la destra libera. Ogni tanto si dava una lisciata ai capelli e con gli occhi guardava verso l'alto per assicurarsi che non piovesse. Non gli sfuggì, però, l'ultima delle sue parole: aveva un fratello che lavorava alla sede della Gazzetta del Profeta.
    -Stone. Probabile che ci abbia avuto a che fare.- I giornalisti ficcanaso non erano mai riusciti a scalfirlo, e sapeva bene di doverseli fare amici. Forse questo Stone lo conosceva ma, in quel momento, non era importante.

    «Mi dica signora Liddle, oppure dovrei dire Luka...» In fondo non c'era niente di male a darle un tono più confidenziale. «Da come parla sembra essere molto esperta di bambini. Vedo che è una brava madre, ed immagino che gestisca il tutto ormai con grande esperienza. Dico bene?» Non poteva sapere dove volesse andare ad apparare, ma una cosa era certa: Ronald iniziava a scoprire le carte.
    «Invece suo marito, non mi ha detto che tipo di lavoro svolge. Ha forse a che fare il suo oppure ha un'occupazione più... babbano?» Avrebbe voluto dire qualcosa tipo "alla sua portata" ma aveva paura che si offendesse. Non era mai stato contro i babbani, anzi li trovava affascinanti e li ammirava in un certo qual modo. Doveva però ammettere che erano degli stolti e che quasi tutto gli sfuggiva sotto il naso.
    I pezzi del puzzle dovevano andare tutti al loro posto. Camminarono verso il negozio di pergamene che non era lontano.
    «Sono sempre stato affascinato dai babbani. Insomma, anche io ho una famiglia per metà babbana, sa? Caso a voluto che non li conoscessi mai. Se ne sono andati tutti prima del tempo ed io sono cresciuto qui. Per un mago è molto importante crescere tra i maghi, apre gli occhi su molte cose. Non è d'accordo?»
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    jZJauBG
    Il volto di Ronald si illuminò nell'ascoltare Luka Liddle parlare. Aveva il piglio giusto per essere madre e, com'era prevedibile, chiese a suo figlio di scusarsi in ogni caso. Chiaramente lo pose sotto minaccia di sequestrargli il suo oggetto babbano preferito.
    -Babbani... che prevedibili sciocchi-. In realtà molti strumenti della tecnologia si stavano pian piano diffondendo anche nella società magica. I comuni esseri umani senza poteri avevano trovato di gran lunga il modo per superare i maghi. Non avendo utilizzato mai la magia, nel corso delle epoche avevano reso l'ingegno la propria forza e la scienza la loro magia. Riuscivano a realizzare cose importanti perché progredivano ed ampliavano le loro necessità. I maghi, nella loro insensata anacronistica visione del mondo e nell'ottusità della propria superbia, bollavano come "proibito" tutto ciò che il progresso avrebbe potuto apportare loro grandi risultati. Non si trattava soltanto di marchingegni elettronici ma anche della magia, quella proibita appunto.

    Mentre stingeva con vigore ma senza forza la mano di Luka sentiva il suo tocco delicato sotto i polpastrelli. Le bianche mani erano proprio come apparivano: delicate e vellutate quasi. Era la titolare di un asilo per bimbi magici in Irlanda. Era davvero interessante, una donna incontrata così per caso era così interessante. Certo aveva una prole fastidiosa, ma sicuramente il contesto nel quale si inseriva era interessante.
    «In Irlanda? E' stata una scelta di vita interessante immagino. Gli irlandesi sono così allegri e cordiali rispetto agli inglesi...». Aggiungere un pizzico di pregiudizio alla conversazione non era mai una cattiva idea, soprattutto se così innocuo. Voleva capire chi aveva difronte. Mise le mani in tasca e l'osservava interessato con i suoi occhi blu. Non erano così dissimili.
    «Se posso chiedere, dov'è che era diretta? Io ho del tempo libero e nessuno con cui passarlo. Potrei accompagnarla». Si offri con un sorriso mellifluo ma che non dovette poi apparire così subdolo. Nel suo modo di vedere le cose le occasioni andavano sfruttate e gli affari colti al tempo giusto. Luka sembrava il tipo di persona che poteva essere interessante.
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    jZJauBG
    Era una donna elegante. Una di quelle donne con cui, e lo si poteva dire fin da subito, il tempo sarebbe stato generoso. I suoi profondi occhi azzurri avevano un taglio insolito: quando guardava verso l'alto sembravano quasi avere un taglio orientale e quando scrutavano profondamente dal basso assumevano un contorno caucasico. Era una donna troppo bella per essere una madre, così affascinante che anche nel comportarsi da madre emanava una carica di passione fortissima.
    Ronald aveva alzato lo sguardo su di lei soltanto dopo essersi rimesso in piedi. Aveva uno sguardo sprezzante nei confronti del bambino che lo aveva urtato. Non aveva chiesto le sue scuse, eppure questi aveva rifiutato la mano. Aveva pensato in quell'istante di essere fortunato a non avere un figlio, e più in generale un figlio come quello. Una creatura impertinente e maleducata a cui badare... Quei pensieri furono interrotti, appunto, dall'intervento della madre che voleva obbligare, alla fine di un lungo rimprovero, il bambino a scusarsi.
    Carter. C'erano anche altri due bambini più piccoli, una femminuccia ed un'altra creatura nel passeggino che la brava donna spingeva con affetto.

    Rimase per un attimo in silenzio poi autoritario ma con un sorriso si rivolse alla signora rivolgendo il palmo delle mano sinistra verso di lei con le dita leggermente piegate, un gesto formale insomma.
    «Non è necessario signora, è soltanto un bambino. Non necessito di alcun tipo di scuse». Disse liquidando così la questione mentre il piccolo insolente incrociava le braccia in segno di protesta. A Ronald non interessava granché il bambino, ma la donna gli dava un senso di opportunità. Quando si fiuta un affare non ci si può tirare indietro.
    «Sono Ronald Keane, amministratore delegato della Gringott». Le tese la mano per presentarsi e credeva di essere in debito con lei, quindi una presentazione non sarebbe che potuta essere d'obbligo per lei. Pian piano, una malsana idea si faceva strada nella sua mente.
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    jZJauBG
    Ci vuole tempo, molto tempo, per capire quanto sia importante il peso dell'esistenza stessa. La realtà si divide in due grandi branche: l'immaginario ed il vivente. Non ci sono fraintendimenti. Ciò che vive, e respira, ha un certo peso e ciò che è immaginario, da un sogno ad un incubo ovvero anche l'aspettativa di una minaccia, ne ha incontrovertibilmente un altro. Allora per quale motivo sulla bilancia l'esistente dovrebbe avere un maggior peso rispetto all'immaginario? E' vero, altresì, che confondere immaginazione con realtà sia sintomo di mente debole, od indebolita dal tempo e dalla paura. Risulta però altrettanto veritiero che l'immaginario possa trasformarsi in realtà e divenire, così, una visione del futuro.

    Era esattamente ciò che accadeva a Ronald J. Keane. I suoi sogni, i suoi incubi, non lo lasciavano mai. Erano attivi durante tutte le ore del giorno. Perché egli non era semplicemente un uomo d'affari, uno spregiudicato imprenditore assetato di potere. Egli era un visionario ed attraverso la mente, dal sogno, i suoi occhi avevano il potere di plasmare la realtà. Sebbene una minaccia, che aveva appreso nei giorni scorsi, lo insidiasse mettendo a rischio tutto, Ronald era consapevole che non si sarebbe fermato. Era certo: avrebbe eliminato la minaccia, forse giungendo ad un compromesso, com'era solito fare, ed avrebbe proseguito con il suo vero scopo. Quella mattina il cielo era uggioso, ma si capiva che non sarebbe venuto a piovere. Ronald indossava la giacca e la camicia, un completo classico di colore grigio scuro. Uno dei tanti che aveva per lavorare. Non sembrava completamente avulso dal contesto dei maghi, benché non fosse vestito come loro. A Diagon Alley non v'era anima viva che non lo conoscesse e poteva permettersi di camminare tra la gente con sguardo altezzoso. Aveva sempre pensato, e sempre saputo, che nulla avrebbe mai messo indubbio la sua identità. Che quell'unica minaccia che si era presentata in tutti quegli anni non avrebbe avuto la minima possibilità di rovinarlo. Eppure quel pensiero lo sfiorava e lo rendeva nervoso, sebbene all'esterno non si vedesse che la statura di un uomo, come si direbbe, tutto d'un pezzo.

    Guardò l'orologio d'oro che portava al polso scrollando un po' la manica. Aveva ancora molto tempo libero prima della riunione delle 15:00. Era un appuntamento importante. Si distrasse andando avanti ancora per un po' e proprio mentre controllava l'orario qualcosa gli andò a sbattere sulla gamba. Sentì un leggero dolore, ma nulla che lo potesse scuotere. Alzò immediatamente gli occhi e vide che lo scontro, fortuito, era avvenuto con un ragazzino che correva tra la gente.
    Lo guardò come si guarda un oggetto inutile e superfluo. Immondizia.
    -Stupido moccioso-. Era caduto a terra e forse si era fatto male al didietro. Ronald, però, in contrasto con ciò che pensava si abbassò sul ginocchio per fissare il ragazzino dritto negli occhi. I suoi occhi azzurri incontrarono quelli del ragazzino. Ronald aveva uno sguardo serio e duro, nessuno avrebbe detto che quell'uomo potesse provare divertimento e gioia. Poteva mostrarla, o meglio dissimularla, ma nessuno avrebbe scommesso sul fatto che la provasse davvero.
    «Dovresti stare più attento quando corri. Quando si è piccoli si rischia di farsi male». Sembrava una vera e propria minaccia. D'altronde poco dopo gli tese la mano per aiutarlo a rialzarsi. Il ragazzino avrebbe accettato il suo aiuto? Non lo sapeva, ma era certo che lì in giro ci fosse uno dei suoi genitori.
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    «Quanto tempo è passato?» Chiese particolarmente annoiato ad un amichetto che sedeva accanto a lui. Rayan sembrava parecchio eccitato e gli rispose che era passata soltanto una mezzora. Il ragazzino dai capelli biondi fisso fissava oltre il finestrino tenendo la mano sotto al mento ed il gomito appoggiato al davanzale interno. Non sembrava per niente interessato a quello che gli accadeva intorno. Non gli avevano permesso, almeno per quel primo giorno, di portare con sé oggetti babbani. Aveva dovuto rinunciare alla sua chitarra ed alle sue cuffie. Quegli oggetti, nei momenti di attesa, erano parecchio utili per lui.
    Aveva fatto amicizia con Rayan, con qualche ragazzina di cui non ricordava già più il nome, ed altri tipi. Sembravano volerlo coinvolgere più di quanto fosse abituato e di quanto gli interessasse. Forse erano proprio i suoi occhi furbi ad attrarre l'interesse altrui, o la sua pacatezza.
    Finalmente il treno partì ed il rumore delle ruote di ferro che sferragliavano sulle rotaie azzittì la maggior parte dei bambini. Erano tutti così eccitati, almeno in quel vagone. Nessuno vedeva l'ora mentre lui si chiedeva perché fosse capitato lì. Cosa dovesse fare esattamente, nessuno glielo aveva saputo spiegare. Qualcuno aveva già fratelli a scuola, o genitori che avevano spiegato loro cosa fosse Hogwarts e in che cosa consistesse la magia.
    -Non è niente di così eccezionale-. Pensava con lo sguardo che vagava tra la nebbia. Una volta aveva conosciuto un mago: uno che faceva apparire le carte dietro le orecchie, colombe da cilindri e faceva uno strano trucchetto con le dita. Sbadigliò forte e si addormentò sulla poltrona.

    Dormì per poco, giusto un quarto d'ora, prima finché il treno non si fermò. Raccolse le sue cose: nell'aria fluttuava un misto tra eccitazione ed ansia. A lui i genitori avevano detto: "devi fare così, è per il tuo bene". Sua madre e suo padre non dovevano ripetere le cose molte volte e nemmeno con un tono di voce minaccioso. Dal ragazzino era arrivato un semplice "Okay". Se lo dicevano loro doveva essere vero. Dovette ammettere che avevano ragione: si trovava innanzi ad un castello vero e proprio. Perfino lui ne rimase meravigliato: e poi quegli abiti, indossati dai professori e dagli altri studenti. Dissero tutti un sacco di cose, ma non diede molta attenzione.
    «Sarebbe fantastico disegnarlo...» Disse a bassa voce, più a se stesso e nessuno ci fece caso ma la sua meraviglia era costante. Ogni corridoio, ogni sala ed ogni statua gli si impressero nella memoria più che delle parole. Non avrebbe dimenticato mai più quel momento.

    Giunsero poi alla Sala Grande. Era li che accadeva la magia più incredibile. Non si trattava di trucchi di carte: c'era un cappello che parlava. La cosa gli mise i brividi ed ebbe quasi paura. Poi prevalse l'eccitazione. C'erano quattro case: Sepeverde, Grifondoro, Tassorosso e Corvonero. Cosa cambiava? A suo avviso una valeva l'altra, perché a parte colori diversi e simboli differenti non sembrava esserci un abisso. Eppure sentiva che c'era una certa tensione nell'aria. Alcuni dicevano "mai in Serpeverde", altri "odio Grifondoro", e dichiarazioni d'amore per questa o per quella parte. Scevro da qualsiasi attitudine da tifoso non gli importava quale fosse destinazione. Finalmente, dopo un'interminabile attesa, sentì il suo nome:

    Irvine Murray.

    Era seduto in fondo. Si alzò in piedi e camminò lentamente. Non credeva che davvero tutti gli occhi fossero su di lui e se lo erano non gli interessava. C'era uno sgabello e quello che doveva essere il preside della scuola lo indicava con la mano aperta. Aveva sul viso un sorriso che aveva visto solo ai finti Babbi Natale del Centro Commerciale. La realtà non esisteva ad Hogwarts, e quel sorriso pareva vero.
    Si sedette ed il preside appoggiò il cappello sulla sua testa. Il casco di capelli biondi e scompigliati venne completamente avvolto dal cappello parlante. Un brivido corse lungo la schiena di Irvine. Era giunto il suo turno.
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    Uno sguardo poteva bastare a capirsi o disprezzarsi. Certo la situazione, così come l'approccio audace della ragazza, non erano effettivamente concilianti. Fatto sta che Irene Hayles aveva un carattere inflessibile e si dimostrava rigorosa ed attenta.
    Capendo di trovarsi innanzi ad una situazione ormai compromessa il povero Roan penso di avere soltanto alcune soluzioni plausibili. La prima prevedeva indicare un punto alle spalle della donna ed urlare "oh mio dio, che cosa è quello!?" per poi, sperando che Irene si girasse, darsela a gambe levate. La seconda, decisamente più plausibile, vuotare il sacco sperando in un qualsiasi aiuto e di trovarsi dinnanzi una persona ragionevole.

    «Irene Hayles...» Ci rifletté ad alta voce. Era sicuro di averlo già sentito, aveva immaginato bene poc'anzi. Qualcosa li univa e si trattava degli anni come studenti, forse in classi ed anni diversi. Era plausibile pensare che fosse addirittura stato un prefetto.
    «Si... Esatto! Grifondoro...» Stava per dire qualcosa di spiacevole come "allora oltre che bella sei anche intelligente" ma si fermò fulminato dal suo sguardo.
    -Questa mi fa a pezzi, nasconde un falso sorriso ma sono costretto a fidarmi di lei-.

    «Okay, va bene». Abbassò la voce e si guardò ancora in giro. «Sei scaltra, te lo concedo, ma non sono io il cattivo della storia. Almeno non di questa storia...» Tirò su l'indice sinistro su come a puntualizzare che stesse continuando a parlare.
    «Vieni sediamoci a quel bar, signora obliviatrice. Meno in piedi siamo e meno ci notano... Tanto non avevi granché da fare giusto?» Era una domanda retorica perché la superò andando verso i tavolini con fare guardingo.
    «Ah dammi del tu, ovviamente. Ormai siamo soci». Probabilmente era rimasto per troppo tempo sobrio e distinguere ancora una volta gli odori ed i sapori gli dava alla testa. Fatto sta che Irene aveva intuito che qualcosa non andava, e non sapeva se gli avrebbe creduto ma lui aveva bisogno di una mano.
    Si sedette ad un tavolino aspettando che lei facesse lo stesso. Avrebbe ordinato un drink analcolico qualsiasi e non lo avrebbe nemmeno bevuto. Stringeva ancora freneticamente la valigetta che posò davanti ai suoi piedi per tenerla sempre d'occhio.
    -Non sono strumenti delicati, ma se qualcuno la urta faranno un gran casino-. Gli mancavano soltanto gli occhiali da sole per sembrare un pazzo paranoico.
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    Col passare del tempo, evidentemente, l'atteggiamento del Guardiacaccia di Hogwarts era stato notato. Proprio la cosa che avrebbe voluto evitare Roan. Rimase interdetto quando una donna gli si avvicinò con fare spavaldo e deciso. Dimostrava un carattere forte e, certamente, questa cosa lo intimoriva in parte.Aveva dei bellissimi occhi verdi ed i capelli castani che le scendevano alle spalle.
    Nonostante gli sorridesse era ovvio, dalle sue parole ed anche dallo sguardo indagatore, che non si fosse fermata per chiedergli di fare conoscenza.
    -In realtà non sarebbe tanto male come idea...- Fermò immediatamente il pensiero da cascamorto perché le domande della donna incombevano pesantemente su di lui.

    Provò a fare una risata distensiva a mezza bocca. Le sorrise ampiamente cercando di ricorrere a tutte le sue, scarse, doti d'attore.
    «Salve». Iniziò salutandola stringendo gli occhi per apparire simpatico e parlando affabilmente. «Ehm, io? No ma si figuri... Non sono disorientato». Si lasciò andare in un'altra risatina.
    -Sta calmo, vediamo cosa vuole...- Si disse distogliendo lo sguardo e stringendo freneticamente la valigetta.
    Guardandola meglio aveva pressapoco la sua età. Doveva essere stata una studentessa di Hogwarts quando lo era anche lui, probabilmente avrebbero potuto conoscersi ma il suo viso non gli era particolarmente familiare.
    «Ci conosciamo?». Le chiese fissandola con i suoi occhi azzurri abbastanza intensamente. Stava iniziando a sudare leggermente, forse a causa della pressione. «Mi presento, sono Roan Becker, il Guardiacaccia di Hogwarts...». Le allungò la mano destra che era libera.

    «Stavo solo svolgendo alcune commissioni vostro onore». Disse seriamente come se si trovasse innanzi ad un giudice per poi lasciarsi andare ad una risata forzata. Non era convinto di riuscire ad ingannarla, si vedeva che era una tipa fin troppo sveglia.
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    Ciao benvenuta! Io sono Daniele, spero davvero ti troverai bene qui con noi :D
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    Quando la frittata è fatta, non si può certo tornare indietro. Ogni volta che Roan usciva dalla capanna del Guardiacaccia si sentiva fiero un po' meno fiero di ciò che aveva realizzato. Stesse sbagliando, stesse agendo nel giusto, non sapeva cosa importasse davvero. Non era mai stato uno studente modello, ma si era impegnato giorno dopo giorno e non era bastato: le sue paure lo avevano fregato.
    -Ed io ho fregato loro con questa meraviglia-. Guardò la bottiglia che ormai da qualche minuto non sapeva più dire che cosa contenesse. Non era ancora così perso però, da dimenticarsi degli impegni.
    -Devo solo sedermi e stare zitto-. Anche cercare di mettere un piede davanti all'altro. Era quello il motivo per cui era lì. Almeno era ciò che si ripeteva: nessuna missione, nessun intento. Posò quella roba e si gettò dell'acqua in faccia sprofondando nel lavandino. Se avesse potuto immaginare per sé una vita peggiore di quella quando era entrato ad Hogwarts probabilmente si sarebbe avvelenato. Aveva le labbra secche e gli occhi rossi. Si pulì con un asciugamano, ed uscì rifacendo la strada che aveva fatto mille altre volte.

    Le matricole, così come coloro che erano tornati per proseguire gli studi, affollavano la stanza grande. Al tavolo dei professori il Preside sedeva imperioso nonostante l'età. Era affascinante come gli anni per lui non sembrassero passare, e non era stato certamente uno dei più carismatici della storia.
    Roan entrò quando la cerimonia ancora non era iniziata. Il preside stava salutando i nuovi, e nessuno si accorse praticamente di lui. Certamente molti dei professori lo notarono, e non erano certo suoi estimatori.
    -Un piede dietro l'altro-. Si disse andando ad occupare il suo posto che, al tavolo, era quello più a sinistra nel segmento secondario alla destra di Vestergaard. Incontrò molti sguardi di disapprovazione mentre passava cercando di non essere notato.
    «Scusate il ritardo». Sussurrò ai professori che erano già seduti accanto a lui. Ovviamente non interessava a nessuno ma alcuni si girarono verso di lui, i loro sguardi erano altezzosi e disgustati. «Ho avuto... Tipo... Un problema» Fece un gesto con la mano come se cercasse le parole per giustificarsi. «Uno di quelli intestinali». Fortunatamente sussurrava e nessuno a parte i vicini lo udì. Questi fecero una smorfia e non lo degnarono più di attenzione. Roan si voltò verso i ragazzi, tirò su col naso e si sforzò di non tossire.
    Ora è meglio che stia zitto.
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    CITAZIONE (Beatrice~ @ 4/6/2019, 20:06) 
    Ho fatto un Rewatch di Rick e Morty

    Tanta roba...
27 replies since 6/4/2019
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