AccioHogwarts2

Posts written by ambitchious.

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    A me piacerebbe fare la ventenne, comunque, senza dover sempre avere qualche responsabilità che non mi compete sul groppone.
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    Robin James Entwhistle
    You can be the beauty and I can be the monster
    Serpeverde
    VI anno

    nome della role with nome cognome personaggio
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    ◇ Informazioni importanti/quote
    ◇ Informazioni importanti/quote
    ◇ Informazioni importanti/quote
    ◇ Informazioni importanti/quote
    16 anni
    Studente
    nome e cognome + tipo di relazione
    nome cognome pg + tipo di relazione
    nome cognome pg + tipo di relazione
    nome cognome pg + tipo di relazione

    ◇ Sa suonare la chitarra.
    ◇ Cresciuto tra Colonia e Cardiff, Robin parla perfettamente sia inglese che tedesco e mastica qualche parola di francese.
    ◇ Ha una sorella, maggiore di sei anni, di nome Jane, alla quale è molto affezionato.
    ◇ È il Cacciatore della Squadra di Quidditch di Serpeverde da quando era al terzo anno. Da bambino giocava a calcio, uno sport babbano.
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    Il tragitto in treno proseguiva lento ed inesorabile e Robin iniziava ad annoiarsi. Amava di più i viaggi in aeroplano: le cose sembravano molto più interessanti a vedersi dall'oblò, misteriose e desiderose di farsi guardare, pur non potendo essere colte nella loro interezza. E oltretutto, dall'alto il piccolo Robin Entwhistle sentiva di poter dominare quanto c'era sotto, mentre nel vagone era ad un passo dalla terra, luogo simbolo della mediocrità, che rifuggiva come la peste.
    Il ragazzino usciva da un periodo non propriamente roseo: portato di peso in Galles, a vivere con quella sdolcinata di sua madre, era stato abbandonato anche dalle ultime persone da cui si sarebbe aspettato una cosa del genere. Ma ormai non importava più: chiuso nel suo guscio di atarassia, sondava con sguardo assente il vetro del suo scompartimento, in cerca delle imperfezioni che poteva trovarvi piuttosto che guardarvi oltre. Robin era così: per quanto si sforzasse, non riusciva che a concentrarsi sul negativo. E tutto ciò che gli interessava, dato che con le persone non riusciva a rapportarsi, se non con un minimo di diffidenza ed insofferenza, era riempire il suo ego di ogni vittoria, grande o piccola, che conquistava sul proprio cammino. Anche il trovare un graffio, una ditata, una macchia sul lucido vetro sarebbe stata una rivalsa, il suo occhio attento che riusciva a prevalere. Non si sentiva come gli altri ragazzini di undici anni e per tutta l'infanzia gli era stato spiegato di essere diverso, più grande, attento e preciso.
    Non conosceva altra divinità che sé stesso.

    Poco dopo l'inizio della sua attenta analisi, nello scompartimento entrarono due colleghi del primo anno, entrambi gonfi di dolciumi. Sbuffò, Robin, rintanandosi sempre più vicino al freddo finestrino del vagone, mentre quelli, ebbri di zucchero, non sembrarono nemmeno accorgersi sua presenza. Ridacchiando come due idioti, i ragazzini si accoccolarono sui sedili e crollarono, finalmente. Puntò su di loro il proprio sguardo glaciale. Che gonzi. Dopo qualche attimo si avvicinò al primo, ma non era interessato ai suoi dolci: voleva organizzare una breve distrazione nell'attesa dell'arrivo al capolinea. Sua sorella Jane sosteneva avesse la mano più leggera di tutte, così Robin la utilizzò per ispezionare con attenzione le borse di entrambi: in quella di uno trovò delle Gomme Bolle Bollenti ancora chiuse, mentre in quella dell'altro dieci Galeoni sonanti. Si intascò senza troppe remore il denaro, poi recuperò dallo zaino del primo il pacchetto di gomme sigillato e lo ripose in quello dell'amico. Terminata l'opera, Robin tornò al posto e finse di coricarsi a propria volta. Non ci volle molto prima che il bambino al quale aveva rubato i Galeoni si alzasse; Robin lo osservò uscire dallo scompartimento senza fare rumore, probabilmente per non disturbarli.
    Ora si va in scena, pensò, dando due colpetti sulla spalla a colui che invece era rimasto dentro. Avrebbe atteso che si svegliasse, prima di stamparsi sulle labbra un sorrisetto innocente.
    « Ehi, scusa se ti disturbo... come va? Senti... ho visto che il tuo amico ti ha preso dallo zaino le gomme da masticare... fossi in te gliele suonerei, quando torna. Dovrei andare in bagno, mi controlleresti la borsa? Non vorrei che gli venisse qualche altra strana idea. Grazie, a più tardi! »

    Compiaciuto per quanto aveva prodotto, Robin fece scorrere la porta dello scompartimento e si allontanò nel corridoio. Il tipo sembrava stupido, sicuramente non abbastanza furbo da pensare che un ladro avrebbe mai potuto denunciare il suo stesso furto. Mentre richiudeva la porta della toilette, Entwhistle vide entrare il primo ragazzino nello scompartimento e subito avvicinò l'orecchio al legno per origliare.

    « Ridammi le Bollenti, grassone! »
    « Eh?! Va bene! Va bene! Ma tu dammi i miei Galeoni!»
    « I g... che? »
    « I MALEDETTI GALEONI!»
    « Ma non so di che parli... »

    Ah davvero? Che peccato.
    I Galeoni tintinnavano nelle sue tasche, mentre ascoltava il diverbio inasprirsi. Il suo ghigno si allargava sempre di più, deformandogli il viso sottile; era consapevole di aver rovinato un'amicizia nascente per il puro gusto di sentirsi il creatore dei disordini, colui che aveva in pugno la situazione. Gli piaceva portare discordia tra i malcapitati sacchi di patate di turno: lo faceva sentire meno a disagio in mezzo alle altre persone. Lo faceva sentire il padrone di un equilibrio che era solo suo. E poi, era solo un bambino: seminare un po' di zizzania non gli sembrava poi tanto grave.

    *****



    La Sala Grande era magnifica. Jane non era brava con le descrizioni, ma aveva reso perfettamente l'idea del soffitto, che rispecchiava la volta celeste all'esterno del Castello, e Robin si era riuscito anche ad immaginare le candele fluttuanti ed i tavoli apparecchiati con stoviglie dorate, sulle quali avrebbe volentieri messo le mani, potendo. Quando era arrivata la lettera, sua madre aveva pianto di gioia, ma Robin... Robin si era detto fosse davvero una seccatura, che Durmstrang non l'avesse richiamato tra le sue fila. Era stato un errore tornare in Inghilterra, abbandonare il signor Entwhistle in Germania. Suo padre era stato allievo di Durmstrang. E Robin desiderava diventare come lui. Quindi aveva fatto i capricci, urlato, strepitato, provato a manipolare sua madre con il senso di colpa... ma non era servito a nulla. Sua sorella maggiore, Jane, gli aveva dato una pacca sulla spalla ed aveva cominciato a raccontare. Lei avrebbe cominciato il sesto anno di scuola a breve. Gli aveva anche detto che, se tutto fosse andato come doveva andare, probabilmente sarebbero stati compagni e lui non avrebbe dovuto temere la mediocrità. Aveva usato proprio quelle parole e Robin si era sentito stranamente confortato. Se le era portate dietro per mesi, fino all'arrivo in Sala Grande.

    « Entwhistle, Robin James! »
    Avrebbe voluto che lo vedessero, sua madre e suo padre, camminare impettito verso quello sgabello. Il Cappello Parlante, consunto ed infeltrito, aveva in sé tutto il suo destino. Era abbastanza per fargli provare un certo timore reverenziale, nei confronti di quell'oggetto. Robin sapeva quale fosse la sua strada: era la stessa di Jane, seduta tra quella miriade di teste, ed era a fianco di suo padre, in Germania per conto di... ah. Robin era solo un bambino. Non aveva idea di cosa stesse desiderando, ma sapeva di essere furbo, di poter puntare in alto, di essere disposto a ripetere ciò che aveva fatto in treno, se ciò gli avesse garantito un futuro luminoso. Sarebbe riuscito a compiacere i signori Entwhistle. Sarebbe stato un mago potente e capace, il più capace di tutti. Il suo desiderio era quello di finire in una Casa dove avrebbe potuto concentrarsi solo e soltanto sul raggiungimento dei propri traguardi personali, una Casa che gli avrebbe permesso di partire avvantaggiato rispetto agli altri undicenni. Perché lui non era come gli altri. Era il riferimento di sé stesso.

    L'ultima parola, però, andava al consunto copricapo...
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    Verity Idina Dorny

    Glory never came easy and love was never free.
    « 33 anni - Tiratrice Scelta - La Vipera »
    Era uno splendido autunno. Verity amava quella stagione con tutta sé stessa, molto più dell'estate e della primavera, fin troppo calde ed appiccicose, per lei, ma sicuramente più amichevoli del gelido inverno durante il quale la strega sarebbe andata più che volentieri in letargo.
    Le giornate passavano tutte in maniera simile, da quando Heidrun era tornata ad Hogwarts, e la vita a casa Edwards-Dorny era scivolata nuovamente in una routine placida che nulla aveva a che vedere con l'estate che avevano passato tutti e quattro assieme. Il lavoro era tornato a bussare alle porte della donna ed anche Hector era più impegnato che mai. Dopo l'articolo sulla Gazzetta del Profeta che riguardava lei e la Hayles, Verity era sotto stretta sorveglianza, pur sapendo che Ziegler avesse condito il suo pezzo con così tante assurdità e menzogne che la strega era stata più che grata di avere abbastanza autocontrollo da non piombargli in ufficio e schiantarlo. Il suo capo, però, osservava ogni sua mossa e non c'era modo di non sentirsi fastidiosamente giudicati. Tornava a casa ed Hector lamentava la sua assenza, fisica e mentale, ed il piccolo Kalen anche. Aveva compiuto otto anni: presto sarebbe stato il suo turno di lasciare il nido in vista di Hogwarts, segno che la Dorny si era davvero persa fin troppo della sua crescita. Era una ruota che girava sempre più velocemente. Avrebbe voluto scendere e riposarsi, almeno un po'.

    Il suo modo preferito di ricaricarsi era vedere la sua migliore amica, Nihal. Lei e Verity non avevano spesso modo di incontrarsi. Il lavoro era stressante per entrambe, il tempo era sempre molto poco e la Dorny preferiva decisamente dormire che darsi alle notti brave come ai vecchi tempi, ma non l'avrebbe mai ammesso ad alta voce, soprattutto non a Nihal: era il loro modo di giocare e stuzzicarsi, lo stesso da più di vent'anni. Non ne sarebbe mai stata stufa. Ed il problema non era assolutamente che non volesse passare del tempo con la sua amica. Avrebbe fatto carte false per tornare ai loro pazzi diciotto anni.
    Camminava sulla strada principale di Diagon Alley, godendosi i colori dell'autunno, che avevano imbrunito gli alberi e le fronde. Il sole stranamente splendeva sul piccolo villaggio magico, la luce limpida e fresca. Nell'aria c'era profumo di zucchero caramellato e caldarroste, la sua combinazione preferita. Ogni volta che tornava a Diagon Alley si sentiva ancora una studentessa alla ricerca dell'occorrente per Hogwarts. Ricordava lei e sua madre, che passavano così tanto tempo da Madama McClan's da rischiare di sforare l'orario di chiusura, tanto erano prese ad ammirarne gli splendidi abiti su misura. Sembrava una vita prima, ma lei poteva percepire ancora quella sensazione di gioia infantile ed intensa emozione che accompagnava ogni sua visita.

    Avrebbe atteso Nihal su una panchina, poco distante dalla gelateria di Florian Fortebraccio. Una volta che l'avesse vista arrivare, le sarebbe andata incontro, per gettarle delicatamente le braccia al collo. Era talmente stanca che aveva solamente bisogno d'affetto e di conforto, nonché di parlare con la persona che, dopo tutti quegli anni, continuava a conoscerla meglio di chiunque altro.
    - È un po' che non facciamo qualcosa di sciocco, - le avrebbe mormorato poi, staccandosi. - Ti va un gelato? -
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    Lyra Black
    « Vivacious, you know. Charming girl. »
    Orion Black II era un uomo piuttosto severo. Imponeva ai suoi figli un'educazione rigida, la stessa che egli stesso aveva ricevuto da bambino, e non si preoccupava di risultare troppo duro o fuori dal tempo: anche se oramai la casata dei Black stava decadendo, egli pensava che con essa non dovessero decadere le maniere proprie di una famiglia nobile. Per questo non si faceva scrupoli a rimproverare i suoi ragazzi personalmente, soprattutto quando la tata di casa, Anya, chiudeva un occhio su certi loro comportamenti. Erano tre ragazzini particolarmente carismatici ed Anastasiya aveva un debole per tutti loro.
    - Lyra, per Salazar, chiudi quella bocca o entreranno le mosche! - Commentò, notando la figlia con la mascella spalancata, lo sguardo rivolto alla locomotiva rossa dell'Hogwarts Express.
    Lyra, però, non lo ascoltava. Aveva atteso quel giorno dal sedici di maggio, giorno del suo compleanno e quando aveva ricevuto la lettera da Hogwarts, e non voleva più trattenere la gioia che provava nel trovarsi lì, assieme ai suoi fratelli, pronta a prendere parte ad un mondo che per tutta l'infanzia aveva visto solamente da lontano. Non che fosse troppo impacciata, anzi, ma la profonda emozione che sentiva nel sentirsi finalmente dove doveva essere la scollegava dall'intero universo, dalla voce di suo padre e da quella di Scorpius ed Oberon, sedici e diciassette anni, che la prendevano bonariamente in giro. La sua attenzione tornò a focalizzarsi solamente quando Anastasiya, la donna russa che era stata prima la bambinaia di sua madre e poi dei tre piccoli Black, le diede un leggero colpetto tra le costole.
    - Ascolta tuo padre! - La rimproverò. A quel punto, Lyra riprese a sentire i suoni ed i colori si fecero più nitidi. Staccò lo sguardo di ossidiana dal treno ed annuì lievemente, serrando le labbra senza emettere un suono. Era una bambina obbediente, quando riusciva a recuperare la testa da sopra le nuvole, ma era anche molto curiosa e si emozionava con facilità. Rivolse un dolce sorriso al padre, che ricambiò immediatamente: era innegabile che Lyra fosse la cocca di Orion, forse per la straordinaria somiglianza alla donna che l'aveva messa al mondo e per la sua innata dolcezza. Talvolta pensava che la figlioletta fosse un poco ingenua, ma era piccola, oltre ad aver vissuto per anni soltanto tra le mura di casa Black, seguita da precettori e dalla dolce Anya.
    Era stato il volere di sua moglie, Elektra Black. Un desiderio che aveva espresso poco prima di morire, ormai quasi undici anni prima.
    - Dite che sia ora di andare? - Domandò Lyra ad un certo punto, sfiorando con gli occhi il proprio baule colmo ed il trasportino che conteneva il suo gatto, Mordicchio. La voce della ragazzina era incerta, seppur pacata.
    - Mancano dieci minuti alle undici, forse sarebbe il caso! Noi poi dobbiamo andare a cercare i Thornton. Ho sentito che quest'anno porteranno un cucciolo di drago a scuola... illegalmente! - Commentò Scorpius, estasiato. Aveva gli stessi occhi scuri della sorella ed il naso importante che aveva ereditato dalla parte materna e russa della famiglia. Orion lo scrutò severamente, scuotendo leggermente il capo: lavorava all'Ufficio Regolazione e Controllo delle Creature Magiche ed il figlio ci mise un po' a capire perché quella rivelazione non gli avesse fatto molto piacere. Oberon gli assestò una gomitata tra le costole, che lo fece sussultare rumorosamente. Lyra ridacchiò. Orion alzò gli occhi al cielo e l'anziana Anya ordinò loro di prendere i carrelli ed avviarsi al treno.
    Si prospettava un anno particolare e Lyra lo sapeva. Non stava nella pelle, ma cercava di rimanere quieta, persa nei propri pensieri. Si chiedeva quanto avrebbe dovuto studiare ed impegnarsi, se avrebbe fatto amicizia o se si sarebbe ritrovata in solitudine. Non era una ragazzina timida, ma certamente aveva avuto pochi contatti con gli altri bambini della sua età e gli amichetti che aveva avuto il permesso di frequentare poteva contarli sulle dita di una mano, ma non per questo si sarebbe tenuta in disparte. Poteva risultare un po' troppo ingenua, ma era dolce, vivace, attiva e divertente. Sapeva imitare benissimo chiunque solo dopo averlo sentito parlare per pochi secondi. Aveva un sacco di Cioccorane da condividere. Non sarebbe rimasta sola: non se lo sarebbe permessa.
    Fu suo padre ad aiutarla a sistemare il baule in uno scompartimento vuoto e tranquillo. Orion appoggiò la gabbietta di Mordicchio su uno dei morbidi sedili.
    - Ad Hogwarts ho passato gli anni migliori della mia vita, - rivelò l'uomo in un soffio. I suoi occhi erano blu profondo, caldi ed amorevoli. Lyra odiava le proprie iridi scure e così poco espressive, ma era sicura che, se mai fossero state davvero di quella tinta, non sarebbero comunque assomigliate a quelle di Orion. - È dove ho conosciuto tua madre... è dove abbiamo progettato di avere te, i tuoi fratelli, una casa... -
    Fece una piccola pausa. Era addolorato, ma si notava che stesse facendo uno sforzo non indifferente per non intristire anche la figlia. Ella ricordava poco della madre, ma cercare di pensarla con tutte le sue qualità positive era la cosa migliore che potesse fare.
    - Sarebbe fiero di te, papà! E sarebbe fiero anche di Scorp ed Obi, - commentò la piccola, alzando la testolina castana per guardare il suo papà, con un piccolo sorriso sulle labbra carnose. - Mi abbracci, prima di andare? -
    Mancava poco, alla partenza del treno, ma si abbracciarono comunque per lunghi minuti e finché non fu chiaro che, se avessero continuato su quella strada, anche Orion sarebbe arrivato ad Hogwarts con i figli. E sarebbe stato oltremodo sconveniente.
    A Lyra, in realtà, sarebbe proprio piaciuto.
    - Sarebbe fiera anche di te, piccolina. -

    La Sala Grande era maestosa, come dai racconti. I suoi sensi erano bersagliati da mille stimoli diversi, dal chiacchiericcio della massa di studenti, ai fantasmi che ondeggiavano allegramente nell'aria, alle scarpe del nugolo di primini, che ticchettavano dolcemente sul pavimento lucidissimo e scivoloso. Era magnifico. Si sarebbe aspettata un po' più di candele, però. Si chiedeva, inoltre, come fosse possibile che la cera bollente non cadesse in testa a tutti gli avventori dei cinque grandi tavoli che riempivano quell'enorme stanza. La risposta, in realtà, era palese: magia. Si ritrovò a ridacchiare da sola, alla prospettiva che l'incantesimo che impediva alle candele di colare potesse essere spezzato da un momento all'altro, anche se non sarebbe stato affatto divertente. Ci teneva a fare bella figura durante lo smistamento e si era anche pettinata i capelli sotto consiglio di Hayley Cooper, una delle primine che le aveva fatto compagnia durante il tragitto sulle barche di poco prima. Hayley le aveva prestato una delle sue forcine con sopra una fragola ricoperta di strass e Lyra aveva proprio pensato che Hogwarts, forse, non sarebbe stata tanto male, se già si era fatta un'amica. Sarebbe riuscita addirittura a resistere alla mancanza di Anya, di suo padre e di Beauford, il loro Pastore Australiano. Sì, la vita a scuola sarebbe stata un po' diversa, ma forse non sarebbe stata tremenda. Faceva tutto parte della crescita. Era una sfida che doveva vincere. E Lyra era determinata, pronta a lavorare, a metterci tutto il suo impegno.
    Assistesse alla canzone del Cappello Parlante con trepidazione, emozionata e desiderosa di essere la prima a sedersi su quello sgabello. A tutti i ragazzini del primo anno era stato spiegato come funzionasse lo smistamento ed all'inizio l'idea non le era affatto piaciuta: se il Cappello avesse trovato qualcosa che non andava bene, in lei? Se non avesse trovato la giusta collocazione?
    C'era solamente un modo per scoprirlo e non mancava molto.
    - Black, Lyra! -
    Quasi si perse il suo nome, troppo intenta a riflettere di nuovo sulla questione delle candele, ma fu riscossa da una leggera gomitata di Logan Finnegan, anch'egli conosciuto sul treno. L'undicenne si affrettò quindi a raggiungere la postazione, si sistemò sullo sgabello ed osservò tutti quei visi, quelle persone già sedute e che aspettavano soltanto che la piccola Lyra scoprisse in che casata sarebbe finita.

    Il Cappello Parlante le scivolò sugli occhi, stoffa pesante ad impedirle la vista ed i pensieri. Tremando per l'emozione, Lyra aspettò.
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    Edited by ambitchious. - 6/11/2020, 00:17
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    Mahmood - Moonlight Popolare (feat. Massimo Pericolo)
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    Placebo - Taste in Men

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    Nothing But Thieves - Particles (Piano Version) per Lisbeth Wilson da Aiden Jones perché mi piace soffrire
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    È vero che, nonostante tutto ciò che mi dai, io non sarò mai contenta... E mi faccio schifo. Faccio fatica e mi faccio schifo e mi dispiace e tutti gli impegni del mondo non fanno altro che stancarmi, ma poi, quando vado a dormire, mi sogno le cose ed impazzisco.. Sono stanca, basta
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    Io onestamente sono stanca...
    Di essere ammalata, di essere sola, di non riuscire a concentrarmi, di farmi trattare come non mi merito, di aver paura di essere sostituita da una persona che, se lo facesse, distruggerebbe quel poco che è rimasto della mia autostima
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    Aiden Steve Jones
    « Corvonero - IV anno - Timido - Brillante - Scheda »
    Il suo sorriso si distese, mentre stringeva la mano ad Amelia. Tutto quel trambusto gli aveva fatto venire voglia di infilarsi sotto le coperte col suo manuale di Astronomia... Dimenticandosi di Aidan Warrington, Lisbeth, Thomas coso... Qualsiasi cosa fosse andata storta quel giorno. Ci avrebbe pensato domani, con un bel po' di sonno alle spalle ed un buon banchetto nello stomaco. Al momento, però, rimaneva in piedi ad attendere un professore, qualcuno che dicesse loro di tornare a sedersi o che fossero nei guai per quella marcia improvvisata. Nessuno degli adulti, però, sembrava essere interessato a loro dopo la faccenda Warrington e fu con un lieve sospiro sollevato che Aiden accolse quella consapevolezza.

    « Credo che l'intervento possa solo essere giustificato, » rispose il Corvonero ad Amelia, sciogliendo la stretta e passandosi una mano sul collo, massaggiandoselo piano coi polpastrelli.

    « Ha fatto bene ad arrangiarsi... In ogni caso, io mi chiamo Aiden, Aiden Jones! » Dopo essersi presentato, rifletté sulle parole che avevano appena lasciato le sue labbra. Lo pensava sul serio. Sperava solamente che nessun professore lo potesse sentire, vista la sua infinita stima per il corpo docenti. In quel caso era convinto che non avessero preso abbastanza precauzioni per evitare la scena che si era appena svolta in mezzo alla Sala Grande. Quell'anno scolastico era davvero cominciato con il botto...

    Lanciò uno sguardo al tavolo dei Serpeverde, oltre alla spalla di Amelia. Sbagliava, o c'era proprio Lisbeth che lo stava osservando? Tento di ricambiare lo sguardo, poi lo distolse. Ciò che era successo sull'Espresso non gli aveva ancora detto nulla? Era arrabbiata. Avrebbe fatto meglio a smettere di farle gli occhi da cucciolo... Non sarebbe servito a niente. Parlarle doveva essere la sua prossima mossa.

    Quando il preside prese la parola, anche lui si fece immediatamente silenzioso. Ascoltò quelle poche parole, quella spiegazione improvvisata ed annuì gravemente ad ogni sillaba. Era stanco di sentire gente parlare, però. Quella seconda parte di discorso ebbe lo stesso potere della prima: una pugnalata alla bocca dello stomaco, un serpente dentro alla testa che sibilava "dovete prepararvi, i tempi non cambiano mai"... E si rese conto di avere paura, ma di dover essere razionale. Il preside poteva voler essere drammatico, giusto? E preparare i suoi studenti a qualsiasi cosa, ma ciò non significava che sarebbero entrati in una nuova guerra da lì ad un paio di mesi. Tutto andava bene. Gli animi erano tranquilli. Ed il cibo era sui tavoli.
    Si voltò quindi ad osservare nuovamente le tavolate piene di vivande ed i visi finalmente più contenti e rilassati, così come il preside aveva augurato qualche minuto prima. Rivolse nuovamente gli occhi ai suoi compagni, scrollando le spalle come quasi a scusarsi del mancato intervento di un professore.

    « Potremmo andare a mangiare, che ne dite? »
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    Aiden Steve Jones
    « Corvonero - IV anno - Timido - Brillante - Scheda »
    Aveva appena pronunciato quella domanda sottovoce, chiedendo se Aidan Warrington si sentisse bene, quando un movimento repentino attirò la sua attenzione lontano dai volti dei suoi concasati. Una ragazzina era salita in piedi sulla tavolata di Grifondoro, ignorando stoviglie e vivande sotto alle sue scarpe, ed Aiden la riconobbe come la sorella gemella di Alan. Non ebbe tempo per osservarla meglio o per domandarsi la ragione del gesto, poiché Amelia si mise a gridare rivolta al tavolo dei professori ed il giovane Corvonero ebbe un sussulto: ma che stava facendo, per Corinna? Coraggioso, sì, ma avventato! Forse troppo. La osservò saltare giù dal tavolo e notò che anche Alan si stesse muovendo dal suo fianco, alzandosi in piedi per trattenerla, ma infine unirsi a lei nella sua camminata verso il Preside stesso. Vennero raggiunti da un ragazzetto di Tassorosso che poteva essere solamente l'altro fratello Tisdale (così vicini era impossibile non notare la somiglianza tra di loro). Aiden, ancora seduto rigidamente tra i Corvonero, non poteva credere ai suoi occhi: si sarebbero fatti punire tutti, che cosa diceva loro il cervello? Ma, in effetti, lui non l'avrebbe fatto se ci fosse stata Lisbeth al posto di Amelia? Lei era ciò che avesse di più vicino ad una sorella... Non che importasse, adesso che lei non lo voleva più nemmeno sentir nominare. Si lasciò sfuggire un lieve sospiro, a quel pensiero, ma la situazione era così carica di tensione che si pentì subito di aver lasciato che la testa vagasse su altre circostanze.
    A proposito di Lisbeth... Non l'aveva notato, inizialmente, ma guardando ora verso Warrington, la ragazza si era mossa per sedersi accanto a lui. Gli stava parlando, Aiden poteva vederlo chiaramente, e sentì di nuovo quella strana morsa al petto che aveva provato anche sul treno. Ingoiò il groppo che aveva in gola: voleva solamente aiutarlo, con quella piccola sberla sulla coscia. Era un suo compagno di casata, in fondo, che cosa c'era di male in ciò? Prese un respiro e si stava quasi per forzare a guardare da un'altra parte, quando notò Thomas Harper intervenire. Figuriamoci se potesse farsi gli affari suoi, pensò. Lo vide schioccare le dita, fare un cenno a Lisbeth per invitarla ad allontanarsi, ad andare verso di lui. Quella fu la goccia che fece traboccare il vaso: si costrinse a voltarsi, ad inspirare profondamente, ad ignorare il cuore che pompava forte, il sangue alla testa, l'irritazione come mai l'aveva provata per nessun altro essere umano sulla faccia della terra. Lo odiava. Lo odiava. Lo odiava. Lo odiava perché era bello, forte, un vincente e, soprattutto, lo odiava perché a Lis piaceva.
    Bevve un sorso di succo di zucca e si calmò, ma nel frattempo le azioni non si stavano fermando.

    Mentre l'intera tavolata dei professori si alzava in piedi ed il mormorio in sala si faceva più insistente, Aiden si mosse nervosamente. Che cosa sarebbe successo ad Alan? Avrebbero perso punti? E soprattutto... Qualcuno finalmente si sarebbe degnato di dare attenzione a Warrington? Il trio Tisdale sembrava essersi preso tutta la scena, ma lì, tra i Serpeverde, c'era ancora un ragazzo che aveva bisogno di essere confortato. Sembrava che nessuno l'avesse messo a conoscenza di quel quadro o che i rapporti con il soggetto del suddetto quadro non fossero stati troppo sereni, a giudicare dalla sua reazione... Quindi che ci faceva ancora in Sala Grande, oggetto di sussurri, bisbigli e commenti indelicati? Gli si strinse il cuore per lui, poiché Aiden era buono, ma si sentiva incapace di agire o di intervenire in una situazione che non conosceva.
    Non era sicuramente come Amelia, come i Tisdale... E fece scivolare lo sguardo limpido proprio su quelle tre figurine che si avvicinavano al Preside. Un certo calore gli scaldò il petto e sorrise, ma fu nuovamente catturato da Aidan Warrington, che si era alzato ed aveva chiamato la professoressa Gautier con un tono spettrale, duro, forte, che zittì chiunque stesse ancora dando aria alla bocca. Aveva deciso di agire da solo, di riportare il silenzio a modo suo.
    La Gautier sembrò quantomeno colpita da quel richiamo e si avvicinò a lui, ma dai suoi movimenti era chiaro che avrebbe preferito non dare spettacolo in quella maniera. Ormai era tardi, si disse Aiden, per gestire la situazione in maniera diversa: quel quadro non era una sorpresa gradita e forse avrebbero potuto pensare alle conseguenze che un un gesto simile avrebbe potuto portare. Anche la Dixon si alzò e raggiunse la Gautier e le loro parole risultarono troppo sussurrate perché Aiden le potesse capire, ma smise di farci attenzione per tornare a guardare i Tisdale, ancora riuniti vicino al tavolo dei professori.

    E fu lì che il giovane Corvonero decise di alzarsi, approfittando del momento di apparente quiete per lasciare la panca (e fu certo di aver sentito un richiamo da parte del Prefetto che lui, stranamente, ignorò) e raggiungerli tutti. In barba ai suoi principi, al suo scarso coraggio, alla paura di beccarsi una punizione... Voleva vedere come stessero, insomma.
    « Hey, gran bell'azione, Tisdale! » E lo disse principalmente rivolto ad Amelia, alla quale, però, non si era nemmeno mai presentato. Sorrise anche ad Albert ed invece mandò un occhiolino rassicurante ad Alan, cercando di stemperare almeno un po' la tensione.
    I suoi gesti, tuttavia, non si rivelarono troppo utili: Warrington aveva ricominciato a parlare ad alta voce e la temperatura della sala sembrò crollare sotto zero. Voltò la testa verso il tavolo dei Tassorosso, giusto in tempo per vedere alcuni dei loro bicchieri tintinnare, cadere e rompersi uno dopo l'altro. Per un secondo gli mancò il fiato e sentì la pelle d'oca affiorare a quella manifestazione di magia involontaria. La faccenda doveva essere più grave di quanto avesse inizialmente pensato.

    Il battito del suo cuore tornò regolare solamente quando Aidan ebbe lasciato la Sala Grande, finalmente, come si sarebbe meritato di fare almeno dieci minuti prima. Guardò di nuovo i Tisdale, uno ad uno, ed infine sospirò.

    « È un brutto momento per presentarsi? »
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    Edited by ambitchious. - 5/9/2019, 12:34
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    Aiden Steve Jones
    « Corvonero - IV anno - Timido - Brillante - Scheda »
    Il viaggio sull'Hogwarts Express non era stato dei migliori, ma Aiden confidava nel banchetto d'inizio anno: uno dei momenti più grandiosi, ad Hogwarts, e tra i suoi preferiti, con esso si dava anche il benvenuto ai nuovi smistati. Ad Aiden piaceva rivedersi in tutti quei primini preoccupati e desiderosi di cominciare la loro avventura, poiché si ricordava bene quel mix di emozioni, tra tensione, paura, incertezza, ma anche una certa dose di adrenalina e baldanza. E poi, il cibo era fenomenale. Nulla a che vedere con ciò che cucinava sua madre... La signora Jones aveva tante buone qualità, certo, ma non era una brava cuoca. Il giovane Corvonero si era ritrovato tante volte a sognare il cibo di Hogwarts, d'estate, talmente tanto da pensare che non sarebbe mai più riuscito ad apprezzare la cucina della donna. Fortunatamente, non era morto di fame. Però Hogwarts gli era sempre mancata profondamente per tutto il periodo estivo.

    Varcando la Sala Grande, infatti, fu colto da un'enorme stretta al cuore. Un unico brivido gli percorse il corpo allampanato, mentre un sorriso naturale gli si formò sul volto fin troppo stanco da quel viaggio infernale. Era finalmente tornato a casa: tutto sarebbe andato bene finché sarebbe rimasto lì, al sicuro, tra i suoi compagni, a studiare ciò che amava. Si sarebbe potuto tirare su di morale... O forse no? Beh, sarebbe stata soltanto una sua decisione e non voleva perdere tempo. Non doveva pensare a Lisbeth, seduta al tavolo di Serpeverde con chissà chi... Doveva essere indipendente.

    Cominciò la sua opera decidendo di sedersi vicino a due volti che conosceva bene: Alan Tisdale e Benjamin Dempsey, già incrociato precedentemente nel vagone cinque dell'Espresso. Alan era una delle persone più buone e rassicuranti al mondo, quindi vederlo non fece altro che aumentare il volume del suo sorriso ancora di più (se umanamente possibile!) e decise di prendere posto al suo fianco.

    « Che mi sono perso? » Esordì, sfiorando con lo sguardo entrambi i compagni di casata. Si stava forse infilando in una conversazione appena cominciata o avevano finito di parlare? Non avrebbe voluto risultare sgarbato, ovviamente, né disturbare i due ragazzi.

    Si persero tra le chiacchiere, almeno finché non cominciò la Cerimonia di Smistamento. Il giovane si ritrovò ad applaudire per chiunque, non solamente per i ragazzini smistati a Corvonero, e si perse più e più volte nei suoi pensieri. Fu il discorso del preside a riportarlo coi piedi per terra. C'era qualcosa nelle parole di Vestergaard che gli mise addosso una strana apprensione, una forte inquietudine che non si seppe spiegare. Razionalmente, sarebbe potuta solo essere colpa del suo umore nero, ma notò che anche lo sguardo di Alan racchiudeva lo stesso sentimento del suo. Un discorso del genere si sarebbe spiegato solamente se si fossero trovati ancora in quei tempi bui, tempi di guerra e caos che né Aiden né i suoi genitori avevano mai vissuto... Ma il Corvonero ne conosceva tutti i dettagli, tanto ne aveva letto al riguardo.
    Così, quando venne svelato il quadro di Warrington, Aiden sussultò, ma decise di non rispondere alle domande di Jimy. Ascoltò semplicemente, il silenzio tra i ragazzi grave e teso.

    « È quel ragazzo lì, vero? Aidan, dico, » e fece solamente un cenno con la testa ad un Serpeverde dall'espressione indecifrabile, seduto tra gli altri. L'aveva riconosciuto perché giocava nella squadra di Quidditch da tempo.

    « Dite che... Stia bene? Mi sembra un po' pallido... »

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    Perché un intero mix non fa male... Forse
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    11 YEARS OLD GREAT HALL SORTING CEREMONY FIRST YEAR
    And I see another mountain to climb, but I got stamina
    Heidrun Sophie Edwards
    I'm free to be the greatest, i'm alive
    « Edwards, Heidrun Sophie! »

    Chiunque avesse rivolto il proprio sguardo verso il folto gruppo di studenti del primo anno in attesa dello smistamento avrebbe potuto notare un lampo di rosso, un movimento così rapido da riuscire appena a percepirlo. La ragazzina pel di carota chiamata al cospetto del Cappello Parlante si faceva largo tra i coetanei con leggere gomitate e sussurri concitati (« Lasciatemi passare! Tocca a me! »).

    Aspettava quel momento da settimane, la piccola, ed a nulla erano valsi i rimproveri dei genitori: Hogwarts era tutto ciò che Heidrun aveva avuto in mente da circa fine dicembre, per essere precisi dal suo undicesimo compleanno, quando era giunto il gufo bruno che aveva consegnato la sua lettera. Mamma Verity e papà Hector non avevano mai avuto dubbi sul fatto che la loro primogenita fosse una strega, ma lei sembrava averlo capito solamente con quella conferma, la lista del materiale e dei libri tra le dita chiare e sottili… E la consapevolezza l’aveva mandata fuori di testa. Era sempre stata esuberante, agitata, facilmente impressionabile da qualsiasi novità, fin troppo energetica per i caratteri calmi e posati dei suoi genitori, ma Hogwarts l’aveva portata a nuovi livelli di entusiasmo. La sua parlantina si era, se possibile, intensificata e tutto ciò che usciva dalla sua bocca aveva ora a che fare con la scuola, le casate, il Quidditch, ciò che avrebbe voluto fare e scoprire una volta ad Hogwarts. Heidrun non aveva paura di niente, anzi, la novità la incuriosiva e lasciare casa le dava l’illusione di essere ormai una donna fatta e finita.

    « Quando sarò ad Hogwarts non potrete più dirmi cosa devo fare, » aveva annunciato un giorno a suo padre che, per tutta risposta, aveva aggrottato le sopracciglia e le aveva dato un grande abbraccio. Era un grande passo, per lei, ed il giorno in cui aveva lasciato il Dorset era stato un giorno che non avrebbe mai dimenticato, una frizzante mattinata di settembre fragrante come una mela rossa. Un saluto al fratello minore, un abbraccio alla nonna giunta a supervisionare il contenuto del suo baule, e poi il Binario 9 ¾, l’Hogwarts Express, il distacco dai genitori che, in realtà, giunse non senza qualche lacrima.

    « Potrai tornare a Natale, micetta. Sarà prima di quanto tu creda, » aveva detto sua madre stringendola forte. Heidrun, rossa come un peperone e con il volto rigato di lacrime, aveva fissato gli occhi scuri in quelli cristallini della donna, ed aveva sospirato.

    « Vi mancherei troppo se non torno! »

    « Se non tornassi, » l’aveva corretta dolcemente suo padre. Heidrun sbuffò a quell’appunto, ma si lasciò comunque stringere finché non fu il momento di partire.

    Seduta in uno scompartimento casuale, la più piccola di casa Edwards aveva anche tentato di fare amicizia… Ma il risultato non era stato dei migliori. Era quasi finita a fare a pugni con tre ragazzini più grandi, colpevoli di aver rubato il gatto di una sua coetanea, ma erano stati tutti fermati da un Prefetto: Heidrun, a quel punto, se l’era data a gambe per il corridoio, cercando di non dare troppo nell’occhio. Un richiamo il primo giorno… I suoi genitori l’avrebbero di certo riportata a casa per un orecchio, ne era sicura.

    Per il resto del viaggio aveva chiacchierato con qualche volto nuovo, sì, ma il pensiero era sempre andato al momento in cui il Cappello Parlante l’avrebbe smistata nella casata più adatta a lei. Le avrebbe parlato? Le avrebbe fatto delle domande? Sua madre le aveva detto che fosse una possibilità… Ma ora che stava per accadere, ora che Heidrun si lasciava alle spalle il gruppetto di studenti dalle divise nere ancora da smistare, non ci stava pensando. Il cuore le batteva così forte che non poteva sentire altro, pure provandoci. Gli occhi le brillavano come stelle, alla luce delle candele, e distrattamente si chiese se la cera potesse colpirla o meno… Ed infine, seduta sullo sgabello davanti a tutte quelle persone, accennò un saluto poco timido, un sorriso smagliante che si spense quando il Cappello, il famoso Cappello, le scivolò in testa ed arrivò a coprirle gli occhi. Non c’era più nulla se non quello. Ed il cuore continuava a batterle forte, più di quella volta in cui aveva rotto la finestra giocando a palla con suo fratello Kalen.

    Il tempo sembrò dilatarsi quasi all’infinito, nell’attesa di un segno del Cappello Parlante…

    ~ PARLATO: #a3797c ~ PENSATO: #a3797c
    ✕ schema role by psiche


    Edited by AccioMaster - 2/5/2019, 13:45
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